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Le armonie di Werckmeister

Regia di Béla Tarr vedi scheda film

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La recensione su Le armonie di Werckmeister

di OGM
10 stelle

Nella cosmologia di Béla Tarr, l’universo è retto da un’imperscrutabile armonia celeste, di cui la realtà terrena è solo una decidua ed imperfetta proiezione. Il peso della nostra carne e la limitatezza dei nostri sensi non ci permettono di cogliere la musica delle sfere nella sua complessità, restituendoci solo una versione deformata di quella che, in origine, è un’immensa meraviglia. L’eclisse totale di sole o una gigantesca balena sono le sue manifestazioni mirabili e temibili, a cui noi, purtroppo, con una buona dose di presunzione, amiamo accostare l’artificiosa mostruosità delle nostre creazioni mentali: le leggende, le superstizioni, e i canoni estetici inventati, come  la scala temperata introdotta da Andreas Werckmeister (1645 – 1706), che, in nome della regolarità matematica, sovverte la naturale distribuzione degli intervalli tra i toni di un’ottava. Tutte queste costruzioni umane  mettono in ombra la purezza della bellezza divina, perché sono viziate da uno scopo profano, ovvero quello di produrre provvisori appigli che consentano di orientarsi in mezzo al caos, ossia quei comodi punti di riferimento o quei semplicistici criteri di giudizio a cui solitamente si affidano la falsa scienza e la falsa giustizia. Il pensiero razionale e la progettazione sono, in sostanza, frutti della paura: in questo film si parla di mettere ordine ricorrendo alle armi, o ad organizzazioni più o meno segrete, ma questi strumenti finiscono per diventare essi stessi veicoli della catastrofe, di una rivoluzione che si scatena sulla Terra con la violenza dell’Apocalisse. Questa furia diabolica, implacabile e devastante, nasce, in realtà, dalla monotona ritmicità di azioni meccaniche: il suo rumore è il ticchettio sommesso ed uniforme scandito dai passi della folla dei rivoltosi in marcia e, sul versante opposto, da János che fugge lungo i binari. Il primo movimento sfocerà in un’incursione vandalica e assassina, il secondo si risolverà in una muta ed imbelle forma di follia. L’uomo, in ogni caso, esce esausto dall’esperienza della lotta, perché le superiori forze dell’universo hanno, comunque, sempre la meglio, riducendo l’individuo, inevitabilmente, al docile oggetto di un gioco che porta diritto alla morte. 

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