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Rusty il selvaggio

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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La recensione su Rusty il selvaggio

di Antisistema
8 stelle

C’è uno scarto enorme tra Rusty - Il Selvaggio (1983), titolo scelto dalla distribuzione italiana, che farebbe pensare ad un classico film rissaiolo, rispetto all’originale Rumble Fish, con tutto il suo carico di significati metaforici, che inevitabilmente vengono persi, per spostare l’attenzione sulla figura del protagonista interpretato da un diciannovenne Matt Dillon, all’epoca specializzato in ruoli di disagio giovanile, contro una sistema sociale che lo soffoca e lo reprime, nella provinciale città di Tulsa in Oklahoma; questo atteggiamento di insofferenza, doveva essere ben presente in Francis Ford Coppola, che dopo essere divenuto negli anni 70’ il più grande regista del mondo, con ben 4 capolavori assoluti del cinema, pensa in grande, decidendo di sfidare il monopolio delle major di Hollywood, trasformando la sua American Zoetrope da mera casa di produzione, in un vero e proprio polo artistico indipendente a tutti gli effetti, un avamposto per portare avanti la politica degli autori, andando così contro le storiche case di distribuzione, arrivando però a bruciarsi a causa del massacro di critica e pubblico, nei confronti del suo film un Sogno Lungo un Giorno (1982), venendo costretto a vendere gli studios, per poter ripianare in parte gli enormi debiti contratti.
Da quell’anno Coppola dovrà mediare le proprie esigenze artistiche, non solo con i voleri delle major produttive, come del resto dovettero fare altri suoi colleghi del periodo in pieno reflusso degli anni 80’, ma anche cercare l’incasso a tutti i costi, per cercare di mettere apposto una situazione finanziaria disastrata; due romanzi di S.E. Hinton gli vengono in aiuto riuscendo ad adattarli in film; il primo è i Ragazzi della 56° strada (1983), dove nonostante le ingerenze produttive della Warner, ottiene un successo più che buono ai botteghini, consentendogli di poter girare il secondo film tratto sempre da un libro, a suo dire incompreso, della stessa autrice; Rusty - Il Selvaggio, questa volta finanziato dalla Universal, pellicola che secondo gran parte della critica segnerebbe il “ritorno alle origini” di Coppola, quando in realtà quest’ultimo prosegue con la sperimentazione tecnico-formale, interrotta bruscamente con un Sogno Lungo un Giorno.

Nicolas Cage, Matt Dillon, Chris Penn, Vincent Spano

Rusty il selvaggio (1983): Nicolas Cage, Matt Dillon, Chris Penn, Vincent Spano


Il bianco e nero con cui è girata la pellicola, non deve essere scambiato infatti per una maggior pretesa di realismo nella messa in scena da parte del regista, perché la città di Tulsa, come il protagonista Rusty James (Matt Dillon), si trova immersa in un’atmosfera di sospensione spazio-temporale, dove i fumi che si alzano, la nebbia, i fortissimi contrasti tra le luci ed i neri costruiti dalla fotografia di Stephen H. Burum, creano composizioni visive allucinate quanto oniriche, ammantando i giovani protagonisti immersi in una prigione immateriale, come quelle ombre delle scale di servizio, che si allungano all’infinito sul muro esterno, avvolgendo tutto il quadro dell’immagine. Coppola ha dichiarato come modelli espliciti l’espressionismo tedesco degli anni 20’ e le opere di Ejstenstein, ma in realtà il punto di riferimento principale, trova origine nel cinema del più grande regista della storia; Orson Welles, tramite quei suoi barocchismi visivi esasperati, l’uso estensivo dei grandangoli per alterare la resa delle immagini, l’adozione insistita dei piani sequenza e la profondità di campo vertiginosa grazie alla quale costruire la scena su un maggior numero di piani emotivi, tanto da chiedersi se ci si ritrova quindi innanzi ad un caso di forma che sovrasta la sostanza, come accusarono molti recensori americani. Probabile, perché in Orson Welles l’utilizzo di tali tecniche, era connaturato al titanismo dei propri protagonisti, che come demiurghi pretendevano di controllare e ri-plasmare la realtà empirica a proprio piacimento, salvo poi uscirne sconfitti, mentre nel film di Coppola l’uso di tali tecniche, se riesce a fare di Tusla un non-luogo, grazie anche alle scenografie di Dean Tavoularis intrise di uno spoglio gigantismo, squarciato da fonti di illuminazioni assurde sin dalla prima sequenza ambientata nella tavola calda, non si sposa molto bene con alcuni personaggi, colpa anche di qualche scelta di casting in ruoli di contorno non proprio felice; se Dennis Hooper risulta ottimo nel ruolo del padre alcolizzato fallito, con dei discreti Diane Lane e Laurence Fishburne nonostante il tempo limitato sullo schermo, invece Diana Scarwid nel ruolo della drogata Cassandra è troppo sopra le righe nel tono dei dialoghi, mentre Nicholas Cage, anche da giovane si dimostra la solita sciagura attoriale, caricando sempre troppo la recitazione, tendendo a strafare, invece di limitarsi all’essenziale.

 

Diane Lane, Matt Dillon

Rusty il selvaggio (1983): Diane Lane, Matt Dillon


Il protagonista, Rusty James, soffre del medesimo problema del suo modello di riferimento, il troppo esaltato James Dean di Gioventù Bruciata (1955), per il suo volersi porre in modo autoritario come icona generazionale di “default” (con indosso jeans, canotta bianca e fascetta nei capelli), senza però una forte costruzione umana alla base della sua ribellione senza causa, perchè Coppola, oltre che guardare formalmente alle avanguardie europee, avrebbe dovuto anche analizzare meglio i ritratti giovanili d’oltreoceano, ben più profondi e sfaccettati rispetto a quello di Rusty, poichè a differenza sua, trovavano la ragion d’essere della loro ribellione non solo in sè stessi, ma soprattutto verso le cause esterne del malessere; epigoni a cui ispirarsi potevano essere il Zbigniew Cybulski di Cenere e Diamanti (1958) con la sua fede nell’ideale, passando per la rabbia irriverente di Albert Finney in Sabato Sera-Domenica Mattina (1960) oppure la presa di coscienza anti-sistema del Tom Courtenay di Gioventù Amore e Rabbia (1963), finendo con le nevrosi anti-familiari di Lou Castel, ma anche restando in casa, l’ossessione competitiva auto-distruttiva del Paul Newman dello Spaccone (1961), sarebbe stato un punto di riferimento da seguire decisamente migliore, rispetto alla ribellione intrisa di un esistenzialismo metafisico banale della pellicola di Nicholas Ray, a cui Coppola si ispira nel costruire il suo Rusty James; però la relativa debolezza di scrittura, viene fortunatamente sopperita dall’ottima tecnica registica del cineasta, dove talvolta riesce a creare sequenze pregne di umanità, con una forte carica di originalità visiva quanto intrise di poesia cinematografica, come la dissociazione tra mente-corpo di Rusty, quando viene tramortito in un tentativo di rapina.
La sostanza ritrova maggior forza, quando il regista riprende in mano il proprio cinema, puntando ad una riflessione sul tempo trascorso, tramite nuvole riprese con la tecnica del time-lapse, le numerose inquadrature degli orologi (compresa quella di un enorme quadrante senza lancette) e l’uso di una colonna sonora a percussioni del batterista Stewart Copeland, per creare l’idea di un tempo in via di esaurimento, accentuando così la percezione di un presente mediocre, vissuto da parte di Rusty nel grigiore più totale, immerso tra il fallimento di un padre alcolizzato (Dennis Hooper) e l’assenza di una madre fuggita in California anni addietro, trovando un senso di compiutezza solo nelle continue risse, anelando ai bei tempi passati dell’epoca d’oro delle bande, un passato mitizzato dal ragazzo, mai esistito in realtà, dove però la figura di spicco era il fratello Motorcycle boy (Mickey Rourke), del quale vorrebbe emularne le gesta. Coppola da varie interviste ha dichiarato di aver girato il film, a causa della forte identificazione personale con il tema del rapporto tra fratelli, dove il minore vede in quello maggiore un vero e proprio mito da eguagliare, non a caso il film nei titoli di coda, contiene la dedica al fratello del regista August.

 

William Smith, Mickey Rourke, Matt Dillon

Rusty il selvaggio (1983): William Smith, Mickey Rourke, Matt Dillon


Il legame tra Rusty James e Motorcycle boy (non ha nome), nella trasposizione filmica, guadagna in profondità ed approfondimento, dove quest’ultimo appena tornato in città dopo essere scomparso per oltre due mesi, si avvale del carisma da bello e dannato del proprio interprete Mickey Rourke (quando aveva ancora un viso non devastato dalla chirurgia estetica), un anti-eroe byroniano dai tratti angelici, che sovrasta di netto il collega Matt Dillon, tramite una recitazione totalmente alienata quanto straniata rispetto al contesto in cui si aggira, dove i discorsi degli altri personaggi gli rimbombano nella mente distrattamente, mentre proietta il suo sguardo sempre altrove, in un’eterna insoddisfazione esistenziale, volendosi allontanare dallo squallore delle strade notturne, continuamente ingrandite dagli obiettivi grandangolari, accentuando la sensazione di vuoto.
In molti giudicano Motorcycle boy un pazzo, i suoi discorsi, per tanti personaggi sono intrisi di un intellettualismo contorto, incomprensibili per degli esseri primitivi dediti solamente a delle “gloriose battaglie per il regno”, ma secondo una descrizione fattane dal padre, è un ragazzo che vive in un’era sbagliata (una definizione calzante per Coppola dagli anni 80’ in poi), questo al contempo ne fa una persona dalla spiccata percezione analitica, un filosofo di antropologia sociale, soprattutto nell’iconica sequenza in cui fissa i “rumble fish combattenti siamesi”, unici elementi colorati del film, metafora della pulsante vitalità di un giovane come Rusty; ma imprigionati come lui in un luogo ristretto che finisce solamente con l’accentuare la loro indole aggressiva, che verrebbe invece attenuata in uno spazio più aperto come il fiume, se non addirittura l’oceano, ponendosi così al di fuori delle restrizioni sociali imposte da una società soffocante, limitata e repressiva, come il poliziotto che segue ossessivamente Motorcycle boy, in cerca di un’occasione per toglierlo dalla circolazione. Massacrato ignobilmente dalla critica americana alla sua uscita, nonché flop devastante ai botteghini (2 milioni di incasso su un budget di 10), fece rimpiombare Coppola nei guai finanziari, pregiudicandone il prosieguo di carriera, seppur le recensioni europee furono invece molto favorevoli, comprese quelle di un nutrito gruppo di critici nostrani tra cui Kezich, Moravia, Grazzini, Craspi e Vito Zagarrio sul castoro dedicato al regista; un film senz’altro da riscoprire, potendo approfittare di un’eccellente edizione in Blu Ray, con vari contenuti speciali, giunta nel nostro paese. 

 

Mickey Rourke

Rusty il selvaggio (1983): Mickey Rourke

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