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8 donne e un mistero

Regia di François Ozon vedi scheda film

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La recensione su 8 donne e un mistero

di degoffro
6 stelle

Esercizio di stile divertente, raffinato e intelligente, ma anche piuttosto snob, ricercato e alla lunga fastidioso nel suo insistito e a tratti fine a se stesso e vuoto citazionismo (a partire dall'incipit con quel cerbiatto che non può non richiamare alla mente "Secondo amore" di Sirk). Francois Ozon, giovane talento del cinema francese, non potendo realizzare il suo sogno di fare il remake di "Donne" di George Cukor, i cui diritti sono detenuti dalle due star Julia Roberts e Meg Ryan, ripiega su un testo teatrale di Robert Thomas, di cui rielabora la trama gialla con tocchi di commedia feroce, melo fiammeggiante, musical scatenato, adattandolo così alle sue perversioni. Otto donne sull'orlo di una crisi di nervi si ritrovano chiuse in una casa di campagna, con il cadavere di un uomo, mentre fuori nevica di continuo, il telefono è staccato, ogni possibilità di contatto con l'esterno è preclusa. Ognuna ha un segreto da nascondere, ognuna può essere colpevole dell'omicidio dell'uomo accoltellato in piena notte. Denaro, avidità, gelosia, lussuria, invidia, ambizione, tradimento, incesto, crudeltà, amori lesbici: dal continuo confronto e litigare delle protagoniste (la presenza maschile è del tutto assente e anche il morto viene sempre ripreso di spalle) emerge il ritratto di un mondo femminile tutt'altro che pacificato (un film misogino?), un covo di vipere spietato e crudele dove intimità, segreti e pettegolezzi vengono velenosamente portati alla luce senza pudori e senza paure, con il solo obiettivo di ferire, senza quasi alcun rispetto per l'altra. Il rimando al cinema glamour del technicolor è sicuramente affascinante (a partire dai geniali e splendidi titoli di testa, in cui il nome di ogni attrice viene accostato ad un fiore diverso, fino ai costumi modellati su quelli di famose attrici), ma il gioco all'accumulo di Ozon sembra quello da primo della classe che vuol far vedere al pubblico quanto è bravo e alla fine risulta ripetitivo, ridondante e piuttosto noioso con continui e a volte inutili colpi di scena. Certo il cast è il meglio che un regista possa desiderare (la migliore è comunque Isabelle Huppert nei panni dell'acida e zitellesca Augustine), certe soluzioni narrative sono ispirate (compresa la sorpresa finale), gli intermezzi musicali anche se non sempre funzionali, sono spesso irresistibili (brillante "Pile ou face" cantata da una scatenata Emmanuelle Beart, perfetta nei panni della cameriera viziosa e sfacciata, sensualissima "Toi, jamais" interpretata da una Catherine Deneuve, a tratti però forse troppo rigida ed ingessata, dolorosa e intensa "A quoi sert de vivre libre" cantata dalla meravigliosa Fanny Ardant, donna che se ne frega dei pregiudizi, va a letto con la governante di colore e, giunta nella casa, fa esplodere come un detonatore, le pulsioni sepolte). Sorprendenti poi le due giovani Virginie Ledoyen e Ludivine Sagnier, nei panni delle due figlie tutt'altro che angeliche di Catherine Deneuve, grande la partecipazione di Danielle Darrieux, nei panni della nonna, a cui il regista regala la chiusa con la canzone "Il n'y a pas d'amours heureux", triste, amara e forse inevitabile constatazione, dopo tanto parlare e discutere. Tremendamente falso, goffo, improbabile e per nulla trasgressivo il lungo bacio tra le due star Deneuve e Ardant: una sequenza gratuita ed inutile, una divagazione superficiale e poco giustificata da una vicenda già fin troppo carica ed esplosiva. Forse l'ennesimo tentativo da parte di Ozon di stupire o sorprendere, senza rendersi conto di correre spesso il rischio di essere stucchevole e al limite del grottesco e ridicolo.
Voto: 6 e mezzo.

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