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Aragoste a Manhattan

Regia di Alonso Ruizpalacios vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Aragoste a Manhattan

di yume
8 stelle

 

locandina

Aragoste a Manhattan (2025): locandina

Cocina, vocabolo evidentemente spagnolo, è l’ambiente attrezzato per la preparazione e la cottura dei cibi, sia in casa, che in un ristorante o in qualsiasi altro luogo, dice il dizionario.

In casa le aragoste sono un ingrediente raro, a meno che cospicui mezzi non lo consentano, ma a The grill di Manhattan, a 39 dollari il chilo, le code di aragosta sono tante da buttarne tra i rifiuti a mazzi a fine giornata, attenzione però a non darne all’homeless che passa di là, il ringhioso chef non tollera gesti caritatevoli, la cocina deve produrre e rendere, guai ai fannulloni e ai parassiti.

La dolce Estela è arrivata da lontano in cerca di lavoro nella Grande Mela, Times Quare è il suo cuore pulsante, le dicono quando chiede sperduta la strada, è come nel corpo umano, da lì come dal cuore si diramano strade, quartieri, pezzi dell’altro mondo e vite da altro mondo.

Nella cocina c’è lo spaccato dell’interetnia globale, gialli, neri, cioccolato, tutti a produrre cibo per turisti a ritmi infernali, tutti felici di lavorare perché sai mai che arrivi prima o poi la green card che ti dà il diritto di non essere più un ectoplasma.

E’ la promessa di Rashid, il mellifluo capo che si meraviglia quando scoppia una mezza rivoluzione scatenata da Pedro Ruiz, una testa calda incontenibile.

“Ma che volete da me? Vi do lavoro, mangiate! Avete tutto! Avete fermato il mio mondo!” E guarda sconsolato la macchinetta distrutta delle fatture da portare ai tavoli e il gran putiferio di cocci rotti.

Questa è La cocina, altrimenti tradotta Aragoste a Mahattan, più di due ore in bianco e nero (due quadri soltanto a colori) a ritmo rap infernale, gli occhioni sbarrati di Estela che guardano non sappiamo se stupiti o disperati. Forse tutte e due.

Le camerierine sfilano come cocottes con i loro grembiulini a righe e i piatti in bilico, sono tutte bianche, qualche messicana non fa testo, bionde come da copione, i cuochi le guardano a malapena, non c’è tempo in quei ritmi diabolici di preparazione e cottura cibi di farci su dei pensieri, però sfogano nel linguaggio le loro repressioni sessuali.

Una coppia c’è, Pedro Ruiz e  la bella bionda Julia, vite alle spalle da dimenticare e sogni davanti da coltivare. Peccato che la cocina non sia il posto giusto per pensare ad altro che non siano pollo e aragoste, fish and chips e tanto altro cibo di merda che, se non finisce nello stomaco di chi sta seduto comodo in sala, viene ingoiato da bidoni della spazzatura dietro il locale.

Un luogo dove fare pausa per fumare e raccontarsi i propri sogni.

Quella del nero è la storia del “raggio verde”, un piccolo capolavoro che brilla prima che tutto vada a puttane, perdonare l’inglesismo ma il linguaggio del film lo richiede.

Il gran finale è lo scoppio di una pentola a pressione, Ruiz decide di far vedere alla cameriera cosa significa “sporco messicano” di cui lei lo ha gratificato e si butta addosso di tutto, gira impazzito in una specie di danza tribale distruggendo tutto dove passa, alla fine si ferma e la macchina si avvicina per gradi al suo viso grondante sangue e sporco.

Sembra la faccia del Cristo di Grunewald, vedere per credere.

Tutto finisce così, i devoti (si fa per dire) cuochi riprendono la corsa, le camerierine idem, i turisti continueranno ad ingozzarsi di cibo di merda.

Julia ha abortito, Pedro non voleva, il suo sogno era la spiaggia messicana dove vivere come in un Eden con la bella famigliola.

Come osare fare sogni simili? C’è in fondo alla sala un ragazzino, è figlio di lei da primo inutile matrimonio, futura leva per il lavoro nel sogno americano.

Chiede alla mamma come sta. Era svenuta, stava perdendo sangue durante il servizio ripreso subito dopo l’aborto (una mosca che le correva su una gamba durante l’operazione è un primo piano che merita).

Lei dice “Tutto bene”. E cosa può dire, hanno tutto, mangiano…

Aragoste? Quelle sono per turisti.

 

Rooney Mara, Raúl Briones

Aragoste a Manhattan (2025): Rooney Mara, Raúl Briones

 

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

 

 

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