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L'imbalsamatore

Regia di Matteo Garrone vedi scheda film

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La recensione su L'imbalsamatore

di giuvax
10 stelle

Chi è l’imbalsamatore?
L’imbalsamatore è un gioco di forze, è il potere che non si fa sentire, è la certezza di non avere tutto sotto mano.
Niente è piacevole, niente è certo, non c’è poesia, solo frastuono. Frastuono così forte che non si sente mai, se non nella propria testa.
Nei pellegrinaggi al mare non c’è il fascino dell’acqua, non c’è la malinconia di una spiaggia deserta; il mare non è passione, qui.
C’è solo la tristezza del degrado, a cui nemmeno l’acqua (un litorale domizio abbandonato e squallido) sa dare una risposta. Nemmeno l’acqua fa recuperare la purezza di cui si avverte l’assenza.

L’imbalsamatore è un gioco di cui si conosce già il vincitore, un gioco che fa paura, eppure non ci si riesce a sottrarre.
Piace già dalle prime scene, piace appena si comincia a sentire un suono, una musica. Piacciono le voci sporche e i toni sommessi.
Piacciono i discorsi reali e la sequenza, la scelta, assolutamente familiari di parole.
Piace riconoscere nello stile alcuni elementi della storia e soddisfa, al contrario, intuire da discrepanze tra stile e storia, quella che sarà la distorsione successiva, l’accelerazione incontrollata degli eventi raccontati: e così, si assaporano gli spazi bui spezzati solo da un volto, si cerca di interpretare la fotografia al limite del surreale, si ha il tempo di studiare gli spazi nelle scene riprese molto da lontano o con il soggetto molto decentrato.

L’imbalsamatore vuole sembrare un film sulla diversità e non lo è, in alcun modo. Niente viene mai messo in discussione, niente viene giudicato o sindacato. La cronaca non ci importa.
Raccontata col velo dell’omosessualità mai del tutto esplicitata, la storia è ancora più reale, ancora più credibile: non lo sarebbe stata altrettanto con una donna di mezza età infatuata di un ragazzo bello e giovane. Non avrebbe spaventato così tanto.
Perché, infatti, non è una storia né d’amore, né di carne, né di barriere da affrontare e superare.
È solo una storia di morbosa e lenta prevaricazione. Oppure, se si riesce ad evitare di giudicare, un racconto di tristezza e impotenza.

Conosco, degli altri film di Garrone, solo Terra di mezzo, e anche in quel film c’è la sensazione opprimente di prevaricazione sui deboli, anche se il carnefice è praticamente invisibile.
Eppure, invisibile ma ben definito: questo film, invece, è fatto di segnali, anticipazioni e indizi forti, che si è contenti di riconoscere e non dispiacciono; ed ha giustamente l’intelligenza di non soddisfare in maniera infantile e ingenua tutte le curiosità dello spettatore, che si azzarda a fare ipotesi ma non rimane deluso dall’assenza di tutte le tessere.
Sembrerebbe ovvio dover scoprire se l’ambigua predilezione di Peppino per l’ingenuo Valerio verrà consumata. Oppure è stata consumata in un momento non descritto allo spettatore.
Ha forse qualche radice concreta il sogno (l’incubo) che spaventa Valerio mentre si trova insieme alla ragazza? Si basa forse solo sui sospetti che il ragazzo nutre nei confronti dell’uomo?
E, in fondo, ci interessa? La risposta secca deve essere per forza no. Perché è fuori di dubbio che Peppino esercita ben più che un potere fisico su Valerio, che non potrebbe essere aggravato di molto, nella sostanza, se ci si aggiungesse anche il rapporto fisico.
Il legame che Peppino è riuscito a costruire ritorna a tratti nella storia, in rigurgiti nei quali vorremmo essere sicuri delle reazioni e decisioni di Valerio, e non possiamo: non è per salvarsi che Valerio scappa a Cremona, non è per salvaguardare Debora che la tiene all’oscuro dei continui tentativi di contatti da parte di Peppino, non è per liberarsi di un problema che finalmente accetta di parlarci a quattr’occhi.
È semplicemente perché l’unico elemento su cui vorremmo poter contare, e cioè la certezza che Valerio sarà fermo e deciso e saprà difendersi, viene a mancare da subito.
Valerio è il carnefice di se stesso, Valerio, fondamentalmente, il responsabile della degenerazione degli eventi. Valerio permette a Peppino di prendere possesso di lui.
Non è Peppino il problema: di lui capiamo tutto a cinque minuti dall’inizio del film, e in fondo nessuno lo giudica (“quante volte ti ho detto che devi darti una calmata con questi ragazzi”, anche se il napoletano guaglion’, senza lettera finale, logicamente dà adito a voluta ambiguità).
Il problema è l’inesperienza di Valerio, che d’altra parte si trova spaesato davanti al nano come nei confronti di quella nuova improvvisa vita con Debora, che cerca di farsi piacere.

E’ il dominio. Di una persona, di uno stile di vita, di una volontà. Di una gradazione di colori, di una scelta di toni di voce, di un punto di vista. Quello dal basso.
Ne La conversazione di Coppola intuiamo qualcosa dell’emotività di Hackman dal fatto di sentire le parole di compassione per un (falso) barbone dalla ragazza mentre viene inquadrato proprio Hackman che la sta intercettando. Ne L’imbalsamatore, se mai ci fosse bisogno di una prova definitiva, intuiamo il legame morboso (consumato o meno, non è il punto) tra i due uomini nel momento in cui siamo costretti ad ascoltare il primo litigio tra Valerio e Debora senza vederli, ma osservando le reazioni di Peppino che, come noi li ascolta. E non può fare a meno di ascoltarli, perché (oltre l’ovvio di averceli in casa) lui fa davvero parte del problema. Ed è sovrapporre quell’audio con quel video che ce ne dà la definitiva certezza.



Peppino vorrebbe poter fare come con i suoi animali. “Ma tu non amavi gli animali?” – “Sì, e non hai pensato che c’è chi ci si affeziona e se li vuole continuare a vedere davanti? Non ci vedo nulla di male”. Per la deviazione di Peppino, Valerio è già morto: ne vorrebbe già prendere possesso entrandogli dentro per imbalsamarlo come evidentemente non gli è consentito da vivo (mi si perdoni la brutalità). La degenerazione progressiva che gli provoca l’incontro con Valerio (“era tanto tempo che cercavo uno come te”) è totale: si confronti l’aspetto fisico delle prime scene con quello delle ultime.
Peppino vorrebbe il possesso definitivo di Valerio.
Ma ha dimenticato qualcosa: a volte l’allievo supera il maestro.

[08/11/2006]

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