Regia di Pupi Avati vedi scheda film
L'orto americano (2024): Filippo Scotti, Rita Tushingham
Venezia 81. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
"L'orto americano" ha chiuso l'ottantunesima Mostra del Cinema di Venezia tra luci ed ombre, quelle profuse dall'elegante fotografia black and white di Cesare Bastelli che ci immerge senza tregua negli umori vaporosi ed umidicci di un mondo frastornato dalla fine della guerra e dall'inizio di un tempo nuovo e pieno d'incognite in cui l'Europa intera andrebbe ricostruita moralmente e materialmente.
Se le case vengono rimesse in piedi un po' alla volta, la provincia emiliana mette in luce crimini efferati che parlano di una perversione umana inesauribile ed impossibile da relegare tra le mura dei manicomi e dei penitenziari. Nella campagna ferrarese un uomo viene arrestato e poi processato per l'omicidio a sfondo sessuale di alcune donne mentre un giovane scrittore rientra dagli Stati Uniti per indagare sugli omicidi, sull'uomo che li ha commessi e sulle implicazioni che il caso presenta con la scomparsa di una giovane infermiera americana.
Finita la guerra il mondo sembra faticare a riconquistare la normalità ed, anzi, sembra rigurgitare il flusso biliare della violenza e della paura accumulata in tempo di guerra.
L'orto americano (2024): Filippo Scotti
L'orto americano (2024): scena
Pupi Avati descrive una terra laida e folle in cui il marciume si nasconde tra parole auliche e poemi, mentre l'innocenza parla di volgarità e miseria. La ricostruzione della provincia contadina nel dopoguerra è la parte più interessante de "L'orto americano". Il resto, a mio avviso, è più ordinario. L'intreccio presenta spunti decisamente interessanti anche se la soluzione del caso è piuttosto scontata.
La resa dei conti finale è senza dubbio la parte che mi ha emozionato maggiormente. Ricca di tensione e adrenalina.
Affascinanti anche le pieghe inquietanti della sezione ambientata nel Midwest americano. Tra reperti gore sotterrati in giardino e voci persistenti dell'aldilà che parlano di un anima senza pace.
Del doppio finale, invece, non ho capito la necessità. Per me il film poteva, anzi, doveva finire nel casale del sospettato.
Ciò che mi ha lasciato maggiormente confuso, però, è la scelta del regista di non seguire una strada precisa. Gli elementi horror sono stati abbandonati troppo presto e forse vanificati da una vulva che provoca ilarità anziché paura. Nella seconda parte il film abbraccia il filone processuale e poi sbarca nei terreni fangosi del thriller. Non ho avvertito un'identità precisa in questo film di Pupi Avati. Mi aspettavo di meno ma speravo di meglio.
Ho faticato a trovare un equilibrio in ciò che ho visto. O forse un equilibrio c'è ed io non ho ancora scavato abbastanza nell'orticello per trovarlo rinchiuso in un vaso di vetro.
L'orto americano (2024): Filippo Scotti, Roberto De Francesco
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta