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Addio del passato

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Addio del passato

di FilmTv Rivista
10 stelle

Giuseppe Verdi era di Piacenza, dicono i piacentini; ma i parmigiani se ne sono impossessati e i piacentini se ne sono un po’ dimenticati. Finché non hanno deciso di dedicargli un film nel centenario della morte, ”L’addio del passato“, realizzato dall’autore che da Piacenza è fuggito e che con la sua città natale e con la campagna di Bobbio ha conservato un rapporto di inevitabile amore/odio. Ma anche per Marco Bellocchio, che da ragazzo cantava le arie verdiane e che nella sua città non è mai stato felice, il passato sfuma; se non si addolcisce, almeno stempera nella lontananza i suoi retaggi ossessivi. Bellocchio segue passo passo ”La traviata“ e contemporaneamente ci racconta Piacenza; il dialetto assume le stesse cadenze musicali delle arie; le protagoniste e le scenografie si susseguono e si intrecciano. C’è Eleonora, una ragazzina che ha imparato a cantare tutta l’opera a orecchio, ascoltando i cd; poi Valeria Ferri che interpreta Violetta per gli Amici della lirica, e Giovanna Beretta a Palazzo Anguissola, Elena Rossi al Teatro municipale, Daniela Pilli che fa il ”Brindisi“ in trattoria con i coristi. C’è la voce della Callas che interpreta proprio ”Addio del passato“, e una sua fotografia, sulla quale va a stringere la macchina da presa. Ci sono le suggestioni dell’opera, indissolubilmente legate a quelle del luogo e della storia del regista. Perché, tra un brindisi e un duetto, tra un palcoscenico e una scuola di canto, si accendono ogni tanto le immagini sgranate dei ”filmini“ dell’infanzia: una giostra, dei bambini che fanno il bagno nel fiume, dei carri mascherati anni ’50 che “illustrano” la scena del carnevale dell’opera. Così, questa ricognizione sul rapporto tra i piacentini e Verdi e sullo strazio di tante Violette possibili finisce per trasformarsi nell’ennesimo tassello dell’accorata biografia di Bellocchio. La scelta di “Addio del passato”, tra le tante arie possibili per dare il titolo al film, non è certo casuale. Suona come qualcosa di definitivo e tenero nello stesso tempo; e in quell’auto che alla fine si allontana nella nebbia notturna di una strada padana, c’è un’idea quasi rasserenata, l’impressione di una distanza ormai colmata, o forse acquisita e per sempre incolmabile.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 44 del 2002

Autore: Emanuela Martini

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