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Due contro la città

Regia di José Giovanni vedi scheda film

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La recensione su Due contro la città

di degoffro
6 stelle

Per chi ha amato l'ottimo ed imprescindibile (nell'ambito del polar) "Ultimo domicilio sconosciuto" dominato da un magnifico Lino Ventura, questo "Due contro la città" rappresenta sicuramente una delusione. Il regista-romanziere-sceneggiatore Josè Giovanni, sempre molto duro nei confronti del sistema giudiziario francese, forse questa volta mette troppa carne al fuoco ed alla fine, nel tentativo di voler colpire diversi bersagli, finisce per perdere di vista il senso profondo della storia che purtroppo risulta così squilibrata, debole e poco convincente, soprattutto nella seconda parte. Gino, dopo avere trascorso dieci anni in prigione, grazia all'aiuto del rieducatore Germain esce e può iniziare una nuova vita con la moglie Sophie. L'affetto e l'amicizia di Germain e della sua famiglia contribuiscono al reinserimento di Gino nella società civile: l'uomo ormai è deciso a chiudere i conti con il passato, rompendo i ponti con i vecchi compagni di rapine, subito pronti a coinvolgerlo in nuove avventure. Riesce a superare anche la morte, in un incidente automobilistico, dell'adorata moglie e dopo avere trovato un ottimo lavoro, sempre grazie all'aiuto di Germain che per lui fa quasi da padre, incontra Lucie, impiegata di banca e con lei è pronto per una nuova relazione sentimentale. Sulla sua strada però si fa vivo l'ispettore capo della polizia Goautreau, responsabile del suo arresto in passato e che risulterà essere ancora più pericoloso dei suoi antichi complici. La presenza invadente, assillante e ingiustificata di Goautreau porteranno Gino sull'orlo della follia e in un eccesso d'ira e gelosia, (l'ispettore sta insinuando Lucie) lo ucciderà. Tutta la fatica compiuta per costruirsi una nuova vita e rigare dritto sarà vana e nonostante la continua paterna presenza di Germain, che si sforza per ottenere delle attenuanti che giustifichino il gesto di Gino, chiedendo persino la grazia al presidente della Repubblica, l'uomo verrà condannato alla ghigliottina. La prima parte del film è degna del miglior polar: Giovanni con lo stile asciutto che gli è consueto, dialoghi secchi, ritmo spedito descrive con efficacia e coinvolgimento il reinserimento di Gino, evitando anche le più ovvie soluzioni narrative (Gino non cede alle lusinghe dei suoi ex complici, non medita vendetta contro i balordi che per una stupida corsa automobilistica hanno causato la morte della moglie, non reagisce con violenza ai vicini che, disturbati dalla musica ad alto volume proveniente dalla sua stanza, lo invitano, piuttosto irritati, a spegnere la radio). Poi però con l'entrata in scena di Goautreau (un odioso, subdolo ma straordinario Michel Bouquet) il film si perde. Davvero poco credibile la figura di quest'ispettore capo, fanatico ed ossessivo, che vuole ad ogni costo riportare in galera Gino, perché convinto della sua innata malvagità e propensione al crimine. Le azioni di cui si copre Goautreau, persino indurre alla menzogna un vecchio complice di Gino pur di incastrarlo, sono eccessive ed irritanti, degne del peggior action movie americano con Stallone protagonista (viene in mente a posteriori ad esempio un'idiozia come "Sorvegliato speciale") ma non di un cineasta intelligente e notevole come Giovanni. Sacrosanta la critica al disumano sistema carcerario francese (c'è persino una rivolta dei detenuti sedata con le armi, mentre Germain suggerisce il dialogo, suo figlio invece consiglierebbe una protesta in piazza), piuttosto debole e fiacca invece la requisitoria contro la pena di morte, troppo insistita e a tratti grottesca la polemica sui mali e i disagi della macchina giustizia (durante il processo contro Gino alcuni giurati dormono, mentre il presidente di corte fa le parole crociate, del tutto disinteressato all'arringa dell'avvocato difensore: se fosse davvero così ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli!!), e anche il disperato finale ("ho paura" dice Gino a Germain prima di recarsi alla ghigliottina) sembra poco necessario e funzionale alla storia e più che altro inserito per giustificare la propria tesi sull'assurdità della pena di morte. Molto interessante invece la figura di Germain (uno straordinario, come al solito, Jean Gabin), ex ispettore, ora impegnato a rieducare i detenuti, favorendone il reinserimento ed il recupero: un personaggio ed un ruolo in cui Giovanni crede fermamente (la funzione rieducativa della pena sembra essere per lui il punto da cui ripartire), che però forse rende eccessivamente buonista, generoso e paziente (per Goautreau, Germain è uno con la Bibbia in una mano e le benedizioni nell'altra). A Germain si deve comunque l'affermazione più giusta del film: a volte non è importante valutare il crimine, quanto le ragioni che portano a commetterlo. Prodotto da Alain Delon che si ritaglia il ruolo di Gino, offrendo un'interpretazione di spicco e vigorosa, il film vanta nel cast anche un giovanissimo Gerard Depardieu nei panni di un delinquentello che cerca di convincere Gino a rientrare nel giro, Bernard Girardeau (protagonista di "Un affare di gusto" e "Gocce d'acqua su pietre roventi") nei panni di Frederic, figlio di Germain, e Mimsi Farmer nel ruolo della dolce ed indifesa Lucie. Di rilievo infine le splendide musiche di Philippe Sarde.
Voto: 6

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