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Piccoli affari sporchi

Regia di Stephen Frears vedi scheda film

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La recensione su Piccoli affari sporchi

di marinablu
10 stelle

Chi vive all’estero cammina su un filo teso in alto nel vuoto senza una rete di protezione, senza quella protezione offerta dalla propria terra dove ci sono la famiglia, i colleghi, gli amici, dove ci si può facilmente far capire nella lingua che si conosce sin dall’infanzia.

Okwe, un ex medico fuggito dalla Nigeria, di giorno è autista di taxi e di notte è portiere di un albergo londinese, si appoggia per dormire a casa di Senay (interpretata da una bravissima Audrey Tautou) una giovane ragazza turca che lavora come cameriera nello stesso albergo di Okwe, ed è così che le principali capitali europee sono vissute da questi immigrati solo come una prima tappa per sfuggire dal loro paese o dal loro passato. Londra, Amsterdam o qualsiasi altra capitale del vecchio continente sono solo un ponte da attraversare per il raggiungimento di un sogno che può chiamarsi New York, passaporto, amore o chissà che altro. Ma la dura realtà in cui si imbattono, la ricerca disperata di un lavoro per sopravvivere, la paura di una visita improvvisa dell’ufficio immigrazione  li porta a svegliarsi da quello “stupido sogno”, per loro non ci sono sogni ma solo sopravvivenza.

Sin dalle prime scene arriva subito, come un pugno in pieno viso, il senso di questo film, il messaggio che vuole far passare. Durante il suo turno di notte Okwe trova un cuore umano che ostruisce il gabinetto di una stanza d’albergo, che valore  può mai dare alla VITA di un essere umano chi è capace di buttare un cuore, l’organo che a livello simbolico meglio rappresenta la vita stessa,  in un cesso?

Nasce istintivo in Okwe voler chiamare la polizia, ma in tal caso dovrà poi fornire le sue generalità, lui è un immigrato clandestino… e allora “No, se vuoi rimanere non devi vedere!” Non deve vedere, non deve sapere, non deve sentire. Deve chiudere un occhio di fronte a questi affari sporchi e chi vuole continuare a lavorare deve chiudere anche l’altro occhio e scendere a compromessi.
Poi, qualche giorno dopo, nell’ufficio del direttore dell’albergo si imbatte in un uomo che sta per morire per una ferita provocata da un’operazione chirurgica fatta male e per Okwe, la cui coscienza non è ancora anestetizzata dalla dura realtà, si alza un sipario che gli permette di vedere un mondo agghiacciante, scopre che quell’operazione è stata effettuata all’interno dell’albergo per asportare un rene che è stato poi venduto, sconvolto e incredulo di fronte alla mercificazione dell’essere umano, scopre che l’organo è stato dato in cambio di un passaporto, che nel mercato degli organi un rene vale circa 10000 sterline, scopre che dietro a questo giro di affari c’è il direttore dell’albergo che, venuto a conoscenza dalla sua ex professione di medico, cerca di comprarlo e coinvolgerlo in questo inferno e la storiella gliela vende anche bene! “In realtà questo giro di affari sporchi altro non è che un affare basato sulla felicità” E’ un atto di bontà: chi dà il rene è felice perché in cambio riceve un passaporto (può raggiungere il suo sogno), chi riceve il rene è felice perché finalmente ottiene ciò che gli serve per vivere….e chi sta dietro e muove i fili di questo mostruoso scenario è felice perché guadagna un bel po’ di soldini sulla pelle altrui!
Per Okwe la coscienza morde e si fa sentire soprattutto quando apprende che la prossima venditrice di rene sarà proprio Senay….

Questo film coraggioso e sicuramente d’impatto emotivo, in un baleno scaraventa lo spettatore in un orrenda realtà sempre più crudele, una realtà che si nasconde (…ma neanche tanto!) dietro l’immagine di paesi civili, accoglienti, multietnici, ma che sotto-banco edificano un mercato di sfruttamento delle vite umane, come se la vita di una persona diversa da noi valesse meno rispetto a quella di un nostro connazionale.

Eccezionale il film, eccezionali gli attori, eccezionale la storia per come viene rappresentata, senza la pretesa di cambiare il mondo ma solo di denunciare ciò che accade sotto il nostro naso, immigrati che riescono a instaurare rapporti umani solo con altri immigrati perché accomunati dalla medesima situazione, immigrati che nel lavoro sono sotto pagati (sempre che vengano pagati!) e che devono scendere a compromessi che umiliano la dignità umana per poter lavorare, mangiare o avere un tetto sotto cui dormire, come se certi diritti fossero esclusivi solo ad una parte dell’umanità….o come se questi uomini fossero “meno uomini” di altri.  Nel film non si esita a mostrare come è l’uomo stesso disposto ad annientare un suo simile a vantaggio dei propri interessi…ma in fondo non è sempre stato “mors tua vita mea”?

Fino a che punto può far comodo voltare la testa da un’altra parte per non vedere? In fondo chiunque di noi o una persona a noi cara potrebbe essere Okwe o Senay.

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