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One Hour Photo

Regia di Mark Romanek vedi scheda film

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La recensione su One Hour Photo

di FilmTv Rivista
8 stelle

Foto segnaletiche e foto di famiglia. Foto che documentano, che fermano, per un istante, un momento del tempo. Foto di momenti felici, di persone vive, sorridenti e allegre, foto che fissano e trattengono l’anima (come le foto dei morti di "The Others“). Sy Parrish non può permettersi una “vita bella“ (grigie tavole calde, un appartamento anonimo al quale si accede da uno squallido corridoio, giornate vuote e solitudine totale). Il ponte tra il suo mondo (il finale didascalico - come si conviene a un film dell’epoca classica - spiegherà cause ed effetti dell’intreccio) e il mondo degli altri è il bancone del SavMart, un centro commerciale, dove sviluppa e stampa i rullini fotografici. Sy, cesellato da un eccellente Robin Williams con una cura minuziosa, è un uomo incanutito, spento, gentile, mite, con l’aria di chi deve chiedere scusa solo per il fatto di riuscire a sopravvivere. Per lui occuparsi delle immagini degli altri è occuparsi dei fotogrammi dei loro affetti, delle loro giornate, del loro passato. È un modo, perverso e malato, di partecipare alla loro vita, alla costruzione di quell’armonia e di quell’ordine che nel cinema, il thriller e l’horror, insieme ad altri generi, detestano, intendono scompaginare e vogliono trasformare in un caos dominato dalla paura e dal sangue. Il protagonista, tra le migliaia di istantanee che passano tra le sue mani, sceglie quelle di una normalissima famiglia di tre persone e finisce per “adottarla“. La parete della sua stanza diventa l’inquietante album fotografico e il diario dei loro rapporti. Le immagini - e un regista non può ignorarlo - nascondono sempre qualche segreto e quella scoperta avvia l’ossessione minacciosa di Sy e la suspense. Mark Romanek che ha scritto la sceneggiatura (ci sono alcune incongruenze e non tutti i personaggi sono costruiti bene) ha girato, prima di questa opera prima, molti video musicali, ma di quello stile effettato e “falso glamour“ ha cancellato ogni sbavatura. Lo stile è secco, asciutto, al neon. Bianco e spazi svuotati. Inquadrature e figure d’attesa. I modelli narrativi che lo hanno influenzato sono “La conversazione“, “Taxi Driver“, “L’inquilino del terzo piano“: ritratto al nero del personaggio e dell’eroe “dimenticato“.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 0 del 2002

Autore: Enrico Magrelli

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