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One Hour Photo

Regia di Mark Romanek vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su One Hour Photo

di degoffro
8 stelle

Curioso, anomalo ed interessante thriller firmato da Mark Romanek, fino ad ora noto solo come regista di video musicali (tra gli altri per Madonna, Lenny Kravitz, David Bowie, Rem, Michael e Janet Jackson, Red Hot Chili Peppers), al suo secondo film dopo l'inedito "Static" con Amanda Plummer e Keith Gordon. I riferimenti cinematografici, dichiarati dallo stesso regista, sono ambiziosi, piuttosto impegnativi ed ingombranti (da "L'occhio che uccide" a "Taxi driver" da "L'inquilino del terzo piano" a "La conversazione", fino a due capolavori di Kubrick da far tremare i polsi, vale a dire "Shining" e "Arancia meccanica"), ma dal confronto, pur con le dovute e necessarie proporzioni, "One hour photo" non ne esce a pezzi, nonostante una sceneggiatura, firmata dallo stesso Romanek, non proprio inappuntabile. Forzato ed affrettato il modo in cui il protagonista Sy Parrish scopre la relazione adulterina di Will Yorkin (ovviamente attraverso una fotografia). Poco credibile il furto del coltello dal centro commerciale. Discutibile la parentesi in cui Sy fa pervenire al suo ex capo, che lo ha appena licenziato, le foto da lui scattate alla sua bambina, giusto per intimidirlo. Artificiosa e grossolana la vendetta messa in atto da Sy nei confronti di Will e della sua amante (li fotografa in pose erotiche obbligate, o almeno così noi crediamo, nel finale c'è infatti un sorprendente ed inatteso ribaltamento che aumenta la nostra comprensione verso il protagonista). Superfluo e didascalico l'ultimo interrogatorio con il detective di colore, a dare una giustificazione alle azioni di Sy. Troppo facile e rimarcata l'opposizione tra la vita anonima, modesta e solitaria di Sy e quella, all'apparenza idilliaca ed invidiabile, della famiglia Yorkin. Eppure, nonostante questi evidenti difetti, "One hour photo" convince. Prima di tutto per la regia di Romanek, bravo a catapultare lo spettatore nell'universo asettico, freddo, modesto, monotono e silenzioso di Sy (le ripetute riprese dei bianchi corridoi del centro commerciale hanno un sapore quasi kubrikiano). Non sarà nuova ma è comunque inquietante e vincente l'idea che un uomo possa entrare nella vita e nell'intimità di un'altra persona facendole proprie, semplicemente sviluppandone le fotografie (un'intuizione sul voyeurismo quasi depalmiana, non a caso Romanek è stato secondo assistente di produzione per "Home movies" di De Palma). La rivista "Vanity fair" ha affermato addirittura che "questo film cambia la nostra percezione di un'istantanea esattamente come "Psycho" ha cambiato quella della doccia." Belle due sequenze oniriche: quella, quasi solare, in cui Sy si immagina di vivere felicemente in casa Yorkin, e l'incubo cupo e violento di Sy (quel sanguinare improvviso ed abbondante dagli occhi rossi del protagonista, il cui volto pallidissimo fa quasi un tutt'uno con gli scaffali bianchi e vuoti del cento commerciale, è un'immagine shock fortissima e disturbante). Anche il collage di fotografie nella casa di Sy a formare un'unica, gigantesca parete illustrata è una felice idea. Teso e secco il ritmo (un'ora e mezza di durata, perfetta per opere del genere), grazie anche ad un'adeguata e allucinata atmosfera paranoica, destabilizzante ed angosciante, creata ad hoc dallo stile visivo del regista, dall'eccellente fotografia monocromatica di Jeff Cronenweth (lo stesso di "Fight club") che neutralizza Sy con gli ambienti in cui vive, fino a farlo scomparire sotto la luce al neon, dando vita ad "un universo leggermente alterato dai toni surreali e fiabeschi" come ha detto Romanek, e dalle musiche dissonanti ed ossessive di Reinhold Heil e Johnny Klimek. L'autentico valore aggiunto del film resta però la maiuscola e magnetica prova di Robin Williams, convertitosi ad un ruolo per lui inedito (nello stesso anno ha girato con la medesima efficacia un'altra parte negativa in "Insomnia" di Christopher Nolan a fianco di Al Pacino), dopo un periodo di interpretazioni all'insegna della stanchezza e della ripetitività. Grazie ad una prova inaspettatamente trattenuta ed intelligente, Williams crea un personaggio assai oscuro e perturbante, sinistro e sospetto. Sy Parrish è comunque un uomo per il quale si provano compassione e solidarietà più che odio e disprezzo. Fa quasi tenerezza vederlo alla tavola calda, di sera, contemplare le foto della "sua" famiglia, o quando torna a casa tutto solo e dà da mangiare al suo criceto, o ancora quando cerca di intrattenere una faticosa conversazione con l'indifferente, quasi infastidito Will Yorkin al centro commerciale. E' quasi patetico quando assiste, solitario sulle gradinate del campo, agli allenamenti di calcio di Jack, applaude il ragazzo come uno zio affettuoso ed attento, premurandosi di incoraggiare Jack ed offrendosi persino di parlare con l'allenatore, affinché sia meno severo nei suoi confronti, o ancora quando offre a Jack stesso, dopo averlo accompagnato a casa, il regalo (un modellino della serie animata Neon Genesis Evangelion) che il bambino avrebbe voluto comprare al centro commerciale. Si soffre infine con Sy quando, dopo essere stato licenziato malamente, seduto in un angolo del suo ufficio, guarda piangente e malinconico le foto infantili scattate dal piccolo Jack. Sy Parrish è un uomo abitudinario, insignificante, dalla vita appassita, triste e senza amici, come ha intuito lo stesso Jack (i bambini sono sempre più osservatori e perspicaci degli adulti). Ha proiettato sugli Yorkin il suo mai realizzato desiderio di famiglia, facendone la sua magnifica ossessione, salvo poi esplodere nella sua repressa follia nel momento in cui scopre che quella adorata famiglia che si è scelto non è poi così felice e serena come appare ("Che cos'ha questa gente che non va?" infatti si domanda Sy quando vede l'assenza della benché minima reazione da parte di Nina dopo che le ha subdolamente fatto scoprire il tradimento del marito - bella la sequenza della rivelazione per Nina con lo sbandamento della automobile). La normalità quotidiana ed ordinaria di una mente folle e patologica: il grande merito di Romanek è indagare la dissociazione, il dramma, il malessere e l'inquietudine dell'ombroso protagonista, raccontare con sobrietà, realismo e pietà, l'esistenza vuota, grigia ed apatica di un uomo qualunque, mostruoso, irrequieto, pericoloso, estremamente fragile, da emarginare, agli occhi comuni, ma in realtà desideroso solo di un pò di umana comprensione e di complice affetto, come peraltro ben sintetizza l'ultima fotografia su cui si chiude il film, quell'unica istantanea che Sy avrebbe voluto fare da sempre e che invece, purtroppo per lui, finisce per rappresentare solo uno dei suoi tanti sogni lontani ed irraggiungibili. Dice all'inizio Sy: "le istantanee sono il modo di esorcizzare il passare del tempo. Il diaframma scatta, il flash abbaglia, e così fermano il tempo, anche se solo per un istante; e se queste immagini potranno mai avere un significato per le generazioni future, sarà questo: io c'ero, sono esistito, sono stato giovane, sono stato felice e qualcuno a questo mondo mi ha voluto abbastanza bene da farmi una fotografia.". Ecco il profondo e lancinante dolore dell'alienato, ieratico ed enigmatico Sy, oltre al suo incredibile paradosso, considerato il lavoro che svolge: nessuno gli ha mai scattato una foto. In concorso al Festival di Locarno nel 2002. 30 milioni di dollari al box office americano (notevole successo per un film d'essai costato poco più di 10 milioni di dollari), poco meno di 2 milioni di Euro a quello italiano. Il ruolo di Sy era stato inizialmente offerto a Jack Nicholson. Anche in "Jumanji" il cognome del personaggio interpretato da Robin Williams è Parrish. Il film che Sy vede alla tv è "Ultimatum alla terra" di Robert Wise. Impagabile Robin Williams: in occasione delle interviste per la promozione del film a proposito del suo look diafano ha dichiarato che per sbiancarlo il truccatore ha utilizzato lo stesso fondotinta di Michael Jackson. Voto: 7

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