Regia di Jean-Michel Bertrand vedi scheda film
Ecologico, nel senso più nobile del termine.
L’immersione nella natura appare come deve essere: sacrale, affascinante, terrificante. Non a caso richiama i tre parametri della religiosità di Otto: mysterium, fascinans, tremendum.
Tanti paesaggi, meravigliosi (alcuni dei quali al confine italo-francese, e dunque nostrani), ci richiamano alla coappartenenza originaria alla natura.
Il protagonista e regista Bertrand ha buon gioco a esibire la disumanità e, più che altro, (in quanto compresa in questa che segue) la antinaturalità dell’offesa della natura (si perdoni la tautologia, qui però necessaria, come peraltro ogni tautologia): se l’uomo è natura, offendere la natura vuole dire offendere innanzitutto l’uomo (e ci si scusi se si parla di uomo e non di essere umano: un retaggio dell’inaccettabile maschilismo di secolare tradizione), oltre che offendere – assieme - l’ordine di cui l’uomo fa parte, e di cui non può che far par parte, anche se non lo volesse. Tanti animali vengono uccisi senza un motivo da uomini che poi cospargono di veleni, autodistruttivi, il mondo medesimo.
Efficace è poi l’assenza di moralismo: la natura è quello che è, e impone la catena alimentare. La provvidenza è dimostrata insostenibile dalla scienza. I lupi sono tra i massimi predatori del loro ecosistema; eppure non sono certo cattivi, così come una ignorante vulgata ha dipinto. Splendida è poi la descrizione del rapporto intraspecifico («i peggiori nemici dei lupi sono i lupi stessi, non altri»); come anche della difficoltà a sopravvivere di tutti, in chiave esclusivamente, e correttamente, evoluzionistica, che richiede – per quanto ciò possa esser terribile, e il documentario lo indica - il sacrificio di specie inferiori, nella succitata catena alimentare.
Il breve lungometraggio (neanche un’ora e mezza, che in Italia però vediamo dopo addirittura sei anni, e solo con sottotitoli – il che non pregiudica nulla comunque, nella fattispecie) è poi un omaggio alla scienza: in particolare a quella biologica, nella sua declinazione zoologica e soprattutto etologica. Il metodo, la pertinacia e la costanza che esso richiede; lo stupore e la meraviglia verso un creato incantevole, per tanti versi; la lotta contro i pregiudizi – propri e altrui – e l’obbedienza alla sola esperienza… sono tutti aspetti filosofici pregnanti, che ci dovrebbero educare, se si ha di mira (per togliere la battuta a un Saint Simon, o al suo segretario Comte) “il miglior miglioramento possibile dell’individuo e del genere umano”.
Ma il breve lungometraggio è anche, se non soprattutto, un omaggio all’estetica: a quella che già offre la natura. E, come la psicologia ha già ormai ampiamente dimostrato con metodo scientifico, l’essere umano (e qui finalmente – scusandomi per quelle precedenti - evito ogni ingiustificabile distinzione sessista), sta tanto meglio a contatto con la natura, e tanto peggio in condizioni artificiali, antropizzate. Come la statistica, trattata come merita, dimostra.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta