Regia di Maura Delpero vedi scheda film
VENEZIA 81 - CONCORSO - LEONE D'ARGENTO/GRAN PREMIO DELLA GIURIA
"-Non bastavano i due dischi che hai già? Io conto le patate che do ai bambini!
-Tutto questo è cibo per l'anima"
-"La scuola è bella perché ci fa capire quali sono i nostri limiti: sei stata brava e ti sei impegnata, ma il tuo percorso finisce qui..."
-Diventare grandi non è solo bere vino, ma prendersi anche le proprie responsabilità".
"Chi va al mulino si infarina".
Vermiglio non è una tonalità di colore, ma un paese delle montagne trentine ove si svolge una drammatica vicenda familiare che si snoda tra gli incantevoli paesaggi d'alta quota locali.
La storia occupa il tempo ravvicinato delle quattro stagioni, che in montagna segnano, ancora più che altrove, le fasi inviolabili di un percorso assimilabile ad una vita intera.
Il periodo storico corrisponde all'ultimo anno della seconda guerra mondiale, quando a sconvolgere la quotidianità di una grande famiglia guidata da un maestro di scuola riservato e rigoroso (Tommaso Ragno), padre di dieci figli, è l'arrivo a casa del figlio maschio soldato ferito, portato a spalla da un commilitone siciliano, entrambi in odore di diserzione.
L'amore del soldato del sud per una delle tre figlie del maestro, spinge ad una azione che si rivelerà come una miccia per fare esplodere il dramma che coinvolgerà due famiglie agli estremi di una nazione devastata dal sanguinoso conflitto.
Dopo il già intenso e notevole esordio avvenuto con Maternal (2019), la regista Maura Delpero ambienta nelle sue montagne del Trentino una storia di bontà e rancori che si dipana attraverso meravigliosi primi piani delle tre testimoni femmine e ricostruzioni contemplative ma realistiche di un recente passato che ormai sembra più lontano di quanto non sia a tutti gli effetti.
Una famiglia che continua a crescere di nuovi nati, in cui una madre allatta contemporaneamente alla propria sventurata figlia maggiore.
Un destino segnato per ognuno dei figli da un padre-maestro che si sforza di trovare tra i propri pargoli, quello più adatto a continuare gli studi.
Sentimenti inespressi, desideri frustrati da leggi non scritte, ma lapidarie e inviolabili che finiscono per condannare ogni individuo che ha la fortuna di sopravvivere ad esistenze dure, ove sfamare se stessi e i propri figli rimane il problema principale dopo che la guerra finalmente pare aver trovato una sua conclusione.
Si è parlato con cognizione di causa di traccia "olmiana" nello stile profondo e contemplativo della brava regista, che non si limita a ricostruire agiografie solo pertinenti e graziose, ma si impegna a fare rivivere sentimenti, frustrazioni, malesseri e stati di difficoltà da povertà ed altre concause che rendono il film davvero riuscito e valido.
Volti schietti e credibili, dialoghi in lingua dialettale locale, lavori sfiancanti, furtivi ritrovi a compiere azioni proibite e scandalose come fumare una sigaretta quando si è donna e minorenne; desideri sessuali di scoperta ancora più proibiti ed inconfessabili e atteggiamenti di padri che inevitabilmente privilegiano arbitrariamente un figlio a scapito degli altri: non per cattiveria, forse più per necessità e disperazione.
E poi ancora metodi di istruzione arcaici che è stupendo ritrovare rappresentati, così come dettagli di vita che ritornano alla luce schietti e realistici da un passato che pare quello di un'altra opposta dimensione, se rapportato alla frenesia informatica odierna, a nemmeno ottant'anni di distanza l'uno dall'altro.
Attori quasi tutti esordienti, dai volti efficaci, credibilità, ben scelti, a cui fanno eccezione l'intransigente e trattenuto, dolente ma cocciuto maestro ottimamente reso da Tommaso Ragno e la risoluta ma pure lei sofferente vedova meridionale vendicativa e risolutrice che Sara Serraiocco interpreta in una sola intensa posa, con così forte partecipazione che non si dimentica nonostante la brevità del ruolo.
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