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Shock

Regia di Mario Bava vedi scheda film

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La recensione su Shock

di scapigliato
6 stelle

Ancora un film e poi Bava avrebbe lasciato il lungometraggio. Morto nell'80, il Maestro era arrivatoalla fine degli anni '70, dopo "Cani Arrabbiati" e le aggiunte forzate de "La Casa dell'Esorcismo", riedizione del capolavoro "Lisa e il Diavolo", fisicamente malato e artisticamente deluso. Come il successivo "La Venere di'Ille", anche "Shock" ha avuto l'ausilio registico del figlio Lamberto. Nonostante questo possa spiegare l'assenza dell'estetica baviana per eccellenza, ovvero luci antinaturalistiche, montaggio funzionale alla dimensione onirica e zoomate varie, si è più portati a credere che i segni estetici di "Schock" siano una volontà autoriale ben precisa. Tant'è che l'appiattimento televisivo del taglio e delle luci naturalistiche della prima mezzora fanno da contraltare all'irruzione del fantastico orrorifico delle successive allucinazioni della protagonista Dora, ovvero l'eroina horror post-Barbara Steel, quella Daria Nicolodi fedele all'allora marito Dario Argento. Ecco quindi che la minaccia della terrificante presenza dell'entità malvagia dell'ex-marito morto forse suicida (ma sarà poi un'entità malvagia?), irrompe nel quotidiano attraverso segni per l'appunto quotidiani. Banali, semplici, per nulla ricercati. L'arma maledetta non è originale e pittoresca, è un semplice taglierino che diventa ossessivo e terrificane per il suo cambio di funzione. Non più un arnese per tagliare carta e materiali affini, ma per incutere timore, ossessionare, allucinare la protagonista, oltre che essere stato a suo tempo un'arma omicida. Questo è un primo tentativo di riabilitazione del film di Bava del '77, a detta dei bavologi puri come il sottoscritto, uno dei suoi film minori. Credo invece, per quanto detto prima, che "Schok" meriti considerazioni più alte, anche perchè è un film che, nonostante sia inferiore al precedente e similare "Operazione Paura", centra la lezione jamesiana di "Giro di Vite", ovvero che è il patologico a fare da porta all'orrore. Il piccolo figlio della protagonista (fratello forse di quella biondina con la palla...) ha un evidente complesso edipico che lo porta ad odiare sia la madre che il suo nuovo marito (John Steiner). Ed è appunto grazie a questo suo odio dalla forma patologica, che lo spirito del padre ed ex-marito, trova la via per presentarsi nella vita reale. Distorsioni, allucinazioni, sfocature varie, sono invece segni baviani in cui l'orrore entra di diritto in un film che per il resto è molto televisivo. Ed è qui che dobbiamo fermare la nostra attenzione: al gioco che Bava ha voluto fare della sua famosa estetica in un momento storico personale di delusioni, e in una contingenza cinematografica in cui il genere horror stava cambiando, e in cui c'era ormai poco posto per il surrealismo goticheggiante di cui era Maestro. Non un capolavoro, ma un film da rivalutare.

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