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Rashômon

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Rashômon

di alan smithee
10 stelle

Esiste una verità assoluta,insensibile ed estranea alle singole,a volte anche impercettibili,interpretazioni di chi è tenuto a esprimere la propria versione dei fatti.Un saggio,oltre che un capolavoro assoluto,sulla implacabile "parzialità"dell'essere umano, che tende, a volte nemmeno in malafede, a girare a proprio favore l'unica verità possibile.

Non abbiamo il coraggio di dire le cose nemmeno a noi stessi”….

 

Qual è la verità: quella che percepiamo assistendo come testimoni oculari? O quella che ci viene raccontata per la strada? O quella che apprendiamo dai media?

L’occhio registra, il cervello percepisce, il nostro carattere e lo stato d’animo che viviamo in quel momento intervengono condizionandoci a riesporre i fatti di cui siamo stati testimoni, fornendo a volte ognuno la propria verità.

Non si tratta solo e semplicemente di vero o falso, ma pure di stanare una verità che crediamo nostra ed invece risulta appannata, fuorviata, distorta, romanzata, e ci rende in certi casi testimoni ingannevoli anche a nostra insaputa, convinti di aver solamente esposto la dinamica dei fatti così come si sono presentati.

Piove a dirotto nei pressi di un tempio in rovina e tre passanti, un monaco, un boscaiolo ed un passante, si ritrovano a discorrere in attesa di riprendere il cammino. L’argomento sulla bocca di tutti in quei giorni è l’assassinio di un samurai nella boscaglia poco distante: l’uomo è stato aggredito da un brigante, poi arrestato, mentre si accingeva ad attraversare la zona impervia con la moglie a cavalcioni di un somaro.

La vicenda ci viene raccontata, e dunque esplicitata in immagini, secondo il racconto di uno dei tre uomini, in qualità di testimone oculare; poi è il monaco che ci rivela particolari, totalmente discordanti, e pure le informazioni ed i dettagli in capo al terzo non coincidono per nulla; a complicare le cose assistiamo alla rappresentazione della verità che proviene dal morto, attraverso la inquietante testimonianza fornita da una medium che riferisce e parla in nome e per conto dell’ucciso.

Man mano che lo spettatore viene catapultato dinanzi alle diverse versioni del tragico fatto, ecco che piccoli dettagli variabili rendono diametralmente opposte le dinamiche dell’agguato, che rimane identico solo nel risultato finale.

Un marito despota che incolpa la consorte solo per il fatto di essere finita in balia del nemico in agguato; una moglie giovane ed avvenente (almeno secondo i canoni estetici dell’epoca) sottomessa che potrebbe approfittare dell’unica sua occasione per disfarsi del marito-tiranno e scappare col brigante; un delinquente caratteriale ed esagitato , istrionico ed attraente che sa come farsi apprezzare dal sesso “debole” e si gioca meglio che può le sue carte.

La verità non ci sarà mai svelata, mentre tutte le sue varianti diventano il teatro del possibile e del dubbio sempre più attanagliante e labirintico che si possa immaginare.

Un film complesso, straordinario ed anticipatore, che si sviluppa secondo i canoni di una narrazione per quell’epoca rivoluzionaria e stordente, mirata a scandagliare le verità nascoste sia dalla tendenziosità mossa da istinti personali ed intimi, sia dall’incapacità di assurgere a mero funzione di testimone oggettivo ed imparziale, come le gravi circostanze richiederebbero.

Chiuso da un episodio meraviglioso atto a dividere il mondo tra caritatevoli senza necessità di corrispettivo, ed approfittatori biechi e calcolatori, Rashomon prende il titolo dalla location spettrale che accoglie ed introduce il misfatto in tutte le sue mutevoli e spesso discordanti versioni, e rappresenta un capolavoro assoluto del cinema orientale e mondiale.

Accolto con diffidenza ed incomprensione in patria, il film ha invece riscontrato risultati esaltanti in Europa ed in Occidente, ove fu premiato col Leone d’Oro veneziano e l’Oscar come miglior film straniero.

Spassoso, incontenibile, gigione ferino di grande istintività. Toshiro Mifune, doppiato per l’occasione da Arnoldo Foà, muove i suoi primi passi per diventare divo assoluto del cinema orientale e attore di riferimento presso Kurosawa.

Splendida pure la complessa e contraddittoria figura della donna, soggiogata come una schiava, ma anche essere raziocinante che non si fa scrupolo di organizzarsi il suo piano, ben più diabolico e raffinato di quello dello scalmanato brigante: se Kurosawa incede sulla fisicità atletica e scattante del brigante, sulla sua muscolatura sviluppata, sul sudore che imperla le nudità della pelle esposta al sole, nel rappresentare la donna il cineasta insiste e si sofferma spesso su di lei tramite primi piani del volto immacolato, aggraziato anche se deformato sia dalle macchie nere che ne deformano il disegno sopraciliare, secondo l’uso e costume popolare del tempo, sia da espressioni di dolore o stupore per la presa di coscienza di vivere un momento propizio - forse l’unico possibile ed irripetibile - per cambiare ciò che non va nella propria esistenza di donna , e dunque di essere segregato e sottomesso da doveri e a un padrone-marito che la tratta secondo l’usanza del tempo.

Rashomon è dunque incontestabilmente una pietra miliare del cinema di tutti i tempi, e rappresenta l’esempio anticipatore ed innovatore cardine ed esemplare di tecniche espressive e di narrazione in grado di influenzare tutto il cinema che verrà in seguito.

 

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