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Queer

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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La recensione su Queer

di supadany
7 stelle

Pensieri & parole. Già per il singolo individuo, non risulta per niente così semplice e immediato far comprendere agli interlocutori di turno i propri pensieri attraverso i termini lessicali e i comportamenti, soprattutto quando si tratta di spingersi a mettersi a nudo, affrontando questioni delicate/compromettenti, siano esse di natura intima o relegate a delle intenzioni che, uscendo dall’ordinarietà del comune sentire/pudore, vengono etichettate frettolosamente come follie incomprensibili. Di conseguenza, è ancora più complicato mettersi a ragionare/decriptare sulla forma mentis e sulle effettive volontà altrui, tanto più quando ci si ritrova al cospetto di personalità rilevanti e di testi complessi.

Ebbene, con Queer Luca Guadagnino si misura con un banco di prova talmente notevole/arcigno/sconsigliabile da far tremare i polsi a chiunque. Fortemente voluto/cercato, per via di una passione che proviene da molto lontano, e altrettanto mosso da una propensione personale (le specialità della casa si vedono tutte), è obbligatoriamente un film destinato a non fare prigionieri e quindi a sollevare un vespaio, cosparso com’è di pulsioni inesorabili e di disposizioni che fuggono - senza accennare nessun timore reverenziale - da quelle ricette industriali che vanno per la maggiore, espellendo di sana pianta tutto quanto non è conforme alla loro dottrina.

Città Del Messico, nei primi anni ‘50. William Lee (Daniel CraigNo time to die, Skyfall) è un americano scappato a gambe levate dalla sua nazione, che trascorre le giornate bazzicando tra bar e intrattenimenti discutibili, con pochi amici, come Joe Guidry (Jason SchwartzmanRushmore, Spun) e alla ricerca spasmodica di giovani/aitanti uomini da abbordare, mentre non perde occasione per abusare di alcol e droghe.

Qualcosa sembra potersi finalmente muovere e stabilizzare nel momento in cui conosce il giovane e attraente Eugene Allerton (Drew StarkeyOuter banks, Terminal list), che però convincerà a seguirlo in un lungo viaggio nei territori del Sud America, pensato per rintracciare lo yage, una pianta che nei piani di William potrebbe permettergli di acquisire delle capacità telepatiche.

Dopo varie peripezie, dovute soprattutto al debilitato stato psicofisico di William, i due incontreranno una donna (Lesley ManvilleIl filo nascosto, Another year) che saprà indirizzarli nella giusta direzione.

 

 

Daniel Craig

Queer (2024): Daniel Craig

 

 

Adattato dall’omonimo romanzo di William S. Burroughs per mano di Justin Kuritzkes (Challengers), Queer vede l’iperattivo Luca Guadagnino (Challengers è uscito pochi mesi fa, mentre After the hunt con Julia Roberts è in arrivo) scalare un metaforico Everest, al pari di Daniel Craig che, in un colpo solo, spazza via l’immagine creata nei quindici anni precedenti, che lo hanno visto indossare l’abito di 007.

Diviso in capitoli, distinti tra loro per molteplici/lampanti motivi, Queer si insedia in una Città del Messico completamente ricostruita – mediante un significativo e redditizio, certosino e artificioso, lavoro di artigianato – a Cinecittà, per poi mollare gli ormeggi e dimenarsi in più luoghi, con un’andatura completamente irregolare, per una prima parte più compatta e conseguenziale, per quanto anche ridondante, e una seconda - a sua volta segmentata in più parziali - che non sembra darsi pace e quindi trovare un luogo sicuro.

Più in generale, restando perennemente francobollato a William, un personaggio tanto affamato quanto ostaggio delle sue ossessioni/dipendenze, tra volontà promiscue e necessità striscianti che entrano di sovente in conflitto tra loro, Queer incuba, contiene e partorisce una moltitudine di elementi magmatici, surreali ed esplorativi che balzano all’occhio (e all’orecchio). Dettagli che emergono dalla proprietà intellettuale del testo e dell’autore, sottoposti a una lente d’ingrandimento che non lascia dubbi sulle intenzioni, reazioni chimiche che irrompono con prepotenza, associazioni sfacciate - ma confacenti - tra il vecchio e il nuovo (vedasi le scelte musicali, ad esempio con una canzone simbolo dei Nirvana), dissolvenze da pelle d’oca, che ricordano - un po’ a tutti - quei gesti che avremmo tanto voluto compiere e che invece sono rimasti confinati nell’alveo degli intenti.

Tanti filamenti che vanno a comporre un puzzle, autodistruttivo ed enigmatico, sensoriale e instabile, che individua in Daniel Craig un vettore centrale/determinante, con un’interpretazione di completa rottura con i suoi trascorsi, coraggiosa e tellurica, mentre Drew Starkey appare imbrigliato nella meccanica del ruolo di sponda, per un cast che si completa con un camuffato – tanto da renderlo quasi del tutto irriconoscibile – Jason Schwartzman e una Lesley Mansville in un più - che raro per lei - formato bizzarro.

 

 

Daniel Craig, Drew Starkey

Queer (2024): Daniel Craig, Drew Starkey

 

 

Detto di un comparto tecnico in totale e collaudata sintonia con il regista, tra il montaggio di Marco Costa (We are who we are, Bones and all) e la fotografia del lanciato/talentuoso Sayomphu Mukdeeprom (Grand tour, Tredici vite), Queer è inevitabilmente un’opera – coerente con se stessa e imperterrita/impenitente fino in fondo - estranea alle logiche del mercato, che viaggia in contromano senza arrendersi anche quando corre il serio rischio di deragliare. Con desideri irresistibili, che fungono da calamite, e sentieri perigliosi/intriganti, infatuazioni dominanti e debolezze/tremori che si fanno percepire, focolai allucinati e decadimenti irrimediabili, smarrimenti frequenti e rifugi effimeri/temporanei, per un tessuto caratterizzato da un’enorme sensibilità/trasporto, che si avventura per la sua strada, esplicita e dibattuta, senza minimamente preoccuparsi delle eventuali ricadute, lasciando giustificati/palesi spazi alle interpretazioni individuali.

Inquieto e labirintico, viscerale e disorientante.

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