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Il tempo che ci vuole

Regia di Francesca Comencini vedi scheda film

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La recensione su Il tempo che ci vuole

di port cros
7 stelle

81ma MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2024)  - FUORI CONCORSO

 

Un padre affettuoso (Fabrizio Gifuni, sempre una garanzia ) legge con la figlia Le avventure di Pinocchio e, per vincere la paura della balena illustrata sulle pagine del classico di Collodi, quando arriva a Piazza del Popolo l'esibizione di una balena porta la bambina a vederla. Ma la figlia ha ancora paura del mostro marino, così la affida alla cassiera mentre lui entra nel tendone, lasciandola sola con una strizzatina d'occhio. Scopriamo poi che l'interesse per il burattino non è puramente letterario, poiché il padre della bambina è il regista Luigi Comencini , il  padre della regista Francesca. Lo vediamo dirigere attori e comparse sul set del suo Le avventure di Pinocchio per la RAI, animato da un atteggiamento comprensivo e solidale improntato alla massima etica e professionale "prima la vita e poi il cinema!".

 

Il dramma familiare autobiografico che Francesca Comenicini dedica alla figura del padre e al loro rapporto di grandissimo affetto e sostegno, ma segnato anche da grandi scontri, soprattutto quando la ragazza adolescente (interpretata da Romana Maggiora Vergano) cadrà nel tunnel della tossicodipendenza. La regista concentra la sua attenzione sulla sua relazione col papà al punto da cancellare completamente dal quadro familiare le figure della madre e delle sorelle, tra cui l'altra regista Cristina, mostrando Luigi come un padre single che tira su una figlia unica. 

 

Va dato atto del grande coraggio dell'autrice nel rappresentare sullo schermo le sue fragilità personali da ragazza, la vergogna della droga iniettata e delle menzogne raccontate in casa, in un esempio di quel cinema autobiografico con cui ella esordì con Pianoforte, storia di giovani eroinomani, genere autobiografico da cui il padre si dichiara avulso e distante come autore al punto di non volerlo nemmeno vedere, anche e soprattutto per il dolore intimo che racconta.

 

La regista fa propria la lezione del padre che nonostante i riconscimenti da pubblico e critica  le confessa di aver sempre provato nella sua carriera un senso di fallimento , di non essere all'altezza come regista , ma incita la figlia che va "sempre tentato, sempre fallito, non importa , tentare di nuovo, fallire di nuovo, fallire meglio".

 

E' con grande tenerezza, come quella con cui rivela l'intimità della memoria familiare o fa trapelare il tremolio della mano quando il papà diventa anziano o la complicità di padre e figlia ormai colleghi sul set napoletano di "Marcellino Pane e Vino", che Francesca compone questa lettera d'amore al padre e alla sua idea di cinema , ch eè quella del bambino che trova una biglia meravigliosa e la vuole mostrare a tutti, nata a partire dalla visione dell'Atlantide di Pabst visto da ragazzo in una sala francese : lì il ragazzino capisce che col cinema può evadere.

 

Le scene del set della trasposizione della fiaba per lo sceneggiato tv del 1972 sono inframezzate da spezzoni di un Pinocchio del cinema muto, tratto da quella collezione di antiche pellicole salvate dal macero con cui Comenicini fondò la Cineteca di Milano

 

Poetico il finale con il volo mano nella mano di padre e figlia, finché lui si stacca per volare da solo verso la spaventosa balena dell'inizio, chiudendo il cerchio a rappresentare la paura della separazione definitiva : la figlia rimane sola come tanti anni prima da bambina in Piazza del Popolo, mentre il genitore varca una soglia su un ignoto che fa paura e lei resta priva di quel punto di riferimento irrinunciabile, ma portando dentro di sè la lezione di arte e di vita di un uomo fuori dall'ordinario. 

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