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I racconti della luna pallida d'agosto

Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I racconti della luna pallida d'agosto

di passo8mmridotto
8 stelle

"La casetta tra le canne" (Asajj ga yado) e "La lascivia del serpente" (Jasei no in) sono due racconti di Akinari Ueda cui Mizoguchi si ispira, fondendole in una unica storia piuttosto intricata, ambientata nel Giappone del 1500, all'epoca delle guerre tra i signori feudali.

Teatro dell'azione, la regione del lago Biwa, particolarmente battuta dalle armate degli Shibata.

Sul lago Biwa si affaccia un piccolo quanto misero villaggio, dove la vita scorre serena, sino a quando i suoi abitanti cominciano a percepire il pericolo incombente delle scorribande delle forze degli Shibata.

Due contadini, Ghenjjro (Masayuki Mori) e Tobei (Sakae Ozawa) decidono di abbandonare il villaggio, con le loro mogli: Myaghi (Kinuyo Tanaka) e O-Hama (Mitsuko Mito).

Ghenjjro e Myaghi hanno un figlio, che portano con loro, reputando meno rischioso il viaggio verso la città che non sperare nella improbabile pietà degli invasori.

Ghejjro è un provetto vasaio, e porta con se una buona scorta della sua produzione, intenzionato a rivenderla in città, e tentare così la via del commercio, che potrebbe costituire il futuro suo e della sua famiglia. Ma sua moglie Miyaghi non si adatta alla vita di città, e decide di tornare al villaggio, portando con se il figlio. Ghenjjro si ritrova solo, a tentare di vendere la sua merce, inseguendo il suo sogno di fare fortuna.

Tobei ha intenzioni totalmente diverse: vuole espatriare, andare in un altro stato, poichè non si sente sicuro neppure in città: tutta la regione è ormai invasa da soldati ostili e soprattutto da feroci predoni.

Prima di mettere in atto i suoi propositi, realizza buoni affari al mercato, insieme a Ghenjjro, e riesce ad entrare per nomina nella ristretta cerchia dei samurai.

Ma nubi nere si addensano sui suoi progetti di riscatto sociale e di libertà: sua moglie O-Hama viene rapita, violentata e costretta in un bordello per soldati. La cerca disperatamente, la ritrova e la libera. Amareggiato, decide di tornare con lei al villaggio, rinunciando così ai suoi sogni.

Ghenjjro, invece, persevera nel suo intento e riesce a diventare ricchissimo.

Mizogughi, come in altre parti del film, innesca a questo punto toni di favola in un racconto altrimenti drammatico, rendendo l'atmosfera magica, onirica, per descrivere l'incontro di Ghenjjro con la bellissima principessa Wakasa (Makito Kyo), che lo attira con la sua malia nella sua casa.

Ma quando Ghenjjro sta per essere travolto dalla passione, un provvidenziale quanto misterioso bonzo, lo avverte che Wakasa altro non è che la reincarnazione di una fanciulla morta senza conoscere l'amore, e che perciò sottopone gli uomini a ogni possibile lascivia, e come il serpente alla fine ne decreta la morte più atroce.

Ghenjjro riesce a salvarsi,e Wakasa svanisce, mentre la sua bella casa si trasforma in un rudere abbandonato da secoli.

L'uomo è sconvolto da quanto gli è capitato, e si pente sinceramente dei peccati commessi: decide di tornare al villaggio, dove Miyaghi e il figlio lo aspettano.

Ma è solo un sogno, all'alba gli viene rivelata la verità, sua moglie è morta, uccisa da un soldato che voleva rubargli il cibo destinato a suo figlio.

Miyaghi sarà comunque sempre con loro, veglierà sulle loro vite e su quelle di Tobei e O-Hama, perchè essi non vorranno più abbandonare il villaggio sul lago, nella speranza che la guerra finisca e torni la pace.

Il film con una lunga panoramica che descrive il lago Biwa e la vita nel misero villaggio che vi si affaccia, per finire con una scena emblematica e molto forte del figlio di Ghenjjro che depone del cibo sulla tomba della madre Miyaghi. La mdp ritorna per l'ultima volta sul villaggio, a chiudere una pagina dolorosa e allo stesso tempo contradditoria, dove ha imperversato l'utopie della ricchezza da raggiungere a ogni costo, l'ossessione della passione, la tragedia, la perdita delle illusioni e la scoperta dell'immortalità degli affetti.

Impeccabile nella sceneggiatura e nella fotografia, il film ottenne nel 1953 il Leone d'argento alla Mostra del Cinema di Venezia, quando ancora Mizogughi era un perfetto sconosciuto: in seguito, il suo talento venne riconosciuto e fu annoverato tra i più grandi autori del cinema giapponese. 

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