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Anatomia di un rapimento

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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La recensione su Anatomia di un rapimento

di lorenzodg
10 stelle

"Tengoku to jigoku" (Anatomia di un rapimento) film del 1963 del cineasta giapponese dove si mescolano ambienti diversi e contrapposti, ricchezza e povertà, alta opulenza e bassa miseria.
Il titolo racchiude questo divario netto e preciso 'inferno e paradiso': un luogo senza speranza alcuna mentre altri vogliono investire montagne di soldi per avere la 'società' in pugno. Senza se e senza ma un uomo non si scompone di fronte a niente fino a quando...
"L'odio...unica ragione della mia vita", "..ho rifiutato il sacerdote..". , ecco quello che dice il ragazzo poco prima dell'epilogo della sua vita a Gondo (Toshirò Mifune) che viene a trovarlo (generosamente) su richiesta del malfattore.
Kingo Gondo è un ricco e potente uomo d'affari che cerca di acquistare le azioni di una società per avere potere su di essa. Vuole arrivare al 47%..con un versamento di 50 milioni di yen. Nella sua villa (e nel suo ufficio) gestisce tutto il passaggio con alcune telefonate di andata e di ritorno e con una partenza d'aereo fissata alle 10. Quando tutto sembra normale, in un luogo chiuso e lontano da tutti, quando la città in cui lavora nemmeno l'ascolta e quando suo figlio gioca fuori col figlio del servitore, ecco un'ennesima telefonata che avverte l''imprenditore di un rapimento...del figlio. Ma poco dopo si scopre che il figlio torna casa mentre il rapito è il figlio del suo autista. Disperato riesce a convincere Gondo nel pagare il riscatto (come una supplica che va al di là della pietas generica e della accodiscendenza senza ritorno). Da qui in poi il film (bruscamente) cambia completamente tono e registro. E ciò che era rimasto nel chiuso delle mura e lontano da una società di poco conto, siaffaccia sul balcone di 'baracche' atterrite e stanche di tutto; ecco che d'improvviso gli opposti si incontrano e i bassifondi della città vengono aperti nella loro pochezza e le indagini della polizia 'investono' un mondo dilaniato dalla povertà e dalla malavita.
Dopo una mezz'ora di interni con discussioni e investimenti, telefonate e accertimenti, paura e terrore per il figlio...e l'intervento della polizia, la pellicola si apre all'esterno, ai vicoli della città e ai suoi problemi irrisolti.
Il rituale investigativo è uno spaccato angusto sulla via umana con poca o niente luce. Droga, prostituzione, malaffare, tornaconto, miseria lacerata..sono lì ad attenderci. tutto girato e descritto con retorica nulla e viltà azzerata, con un bianco e nero che ingloba e attrae i suoi personaggi. La rappresentazione è magnetica e l'andirivieni della polizia e di Gondo che cerca i soldi del rapimento (dopo la liberazione del figlio del suo autista) e il colpevole. Un ragazzo, uno studente senza avvenire che distrugge la sua vita senza un perchè e che 'investe' di 'droga' il suo microcosmo fatto di morte, di tristezza, di baldanza e di destino senza sorte.
Il film nella seconda parte divente un 'noir' stupefacente e incantato da ciò che rappresenta. Non c'è vigore narrativo ma solo un rendiconto amaro della vita nascosta tra vie e inganni umani. Una ripresa poco accademica e pastosa, sincronizzata con le facce e a misura di camera. Una musicalità drammatica oltremodo sagace e affatto compiacente. Un kurosawa senza fronzoli e ardimentoso nel linguaggio secco e nella fatalità di una vita (una come un'altra).
Toshirò Mifune è semplicemente straordinario, attore che prende il pari del regista in molti suoi film: l'alter-ego per eccellenza. Un scarno mondo di parole e immagini nei secchi e precisi mondi di un volto con sguardo 'imperioso'. Di grande effetto la sonorità e il taglio del montaggio.
Una pellicola (tra le tante) che alimenta (rivedendola) l'immaginario del cineasta giapponese che ha dato forza e passione a registi oltre-oriente (non ci sono dubbi che molti devono a lui il modo di girare e il posizionare della camera di fronte alle facce). Un film notevole e ammirevole. Voto 10.

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