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Anatomia di un rapimento

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Anatomia di un rapimento

di yume
9 stelle

Prodotto di un dopoguerra già ampiamente documentato (Una meravigliosa domenica, Cane randagio, L’angelo ubriaco, Bassifondi ) come sempre il cinema d’impegno sociale di Kurosawa guarda alla società partendo dall’individuo.

Un giallo di Ed McBain (Una grossa somma) ispira  Tra cielo e inferno, ribattezzato con minor efficacia in italiano Anatomia di un rapimento, film che potremmo definire “americaneggiante” se non stessimo parlando di Kurosawa.

Gondo (Toshiro Mifune), ricco industriale della National Shoes, sul punto di conquistare la quota di maggioranza della società con una operazione finanziaria in cui rischia tutto il suo capitale (“cinquanta milioni di yen, non un centesimo di meno”), viene fermato dalla telefonata del sequestratore di suo figlio che chiede un riscatto di trenta milioni.

Pagare significa rinunciare a tutto e rovinarsi, lasciando campo libero ai soci che non aspettano altro (i primi venti minuti tagliati nell’edizione italiana fotografavano l’antefatto e la lotta di Gondo per un prodotto di qualità contro la protervia utilitaristica dei soci che vogliono immettere roba scadente sul mercato).

Gondo viene dalla gavetta, sacrificare il lavoro di una vita per il figlio è scontato, non altrettanto decidere di farlo quando si scopre che il rapitore ha sbagliato bambino prendendo il figlio dell’autista, l’amico di giochi vestito come l’altro da sceriffo.

Prende quota a questo punto quello scandaglio dell’animo umano che Kurosawa affonda sempre implacabile e rivela l’uomo a sé stesso.

Gondo è ad un bivio: pagare e rovinarsi o mettere a rischio la vita del bambino?

Pagherà, e non saranno le parole della moglie e del figlio, e neppure il pianto disperato dell’altro padre a deciderlo: “…..io e mio figlio lavoreremo come bestie tutta la vita gratuitamente per lei...”.

Sottili, quasi impercettibili variazioni di stati d’animo sono disseminati dal regista a cogliere il travaglio interiore dell’uomo fino alla decisione.

I primi cinquanta minuti del film ristagnano nel chiuso del soggiorno della villa, le dinamiche sono tutte interne alle figure dei protagonisti, le corde tese fino allo spasimo toccano l’apice nel secondo atto, sul rapido per Osaka da cui le due valigette col denaro dovranno essere scagliate dal finestrino.

C'è tutta la mia vita qua dentro” mormora Gondo.

Da questo momento l’azione diventa frenetica, la seconda parte del film ruota tutta sulla figura del sequestratore e sull’inchiesta che porterà alla soluzione dopo un rapido intrecciarsi di situazioni da thriller.

Il rapitore e la sua condanna a morte.

Due film in uno, e che film!

Il giovane studente di medicina è un bohémien in chiave new age. Accostato al dostojeskiano Raskolnikov (“È una storia lunga, Avdòtja Romànovna. Si tratta, per cosí dire, d’una specie di teoria: come se io, per esempio, trovassi che un delitto è lecito se il movente è buono.….un giovanotto con molte doti e con un amor proprio sconfinato, si impazientisce al pensiero che se avesse, per esempio soltanto tremila rubli, tutta la sua carriera, il suo avvenire e lo scopo della sua esistenza prenderebbero tutt’altro corso, e che questi tremila rubli, invece, non ci sono.”) è soprattutto il prodotto di un dopoguerra già ampiamente documentato da Kurosawa (Una meravigliosa domenica, Cane randagio, L’angelo ubriaco, Bassifondi ).

La villa in collina di Gondo è la sua ossessione, l’ha guardata con odio per tanto tempo dal basso della sua stanzetta povera, rumorosa, claustrofobica.

Rapirgli il figlio e rovinarlo, umiliarlo, sono la condanna emanata e uccidere i complici dopo il rapimento, pur di ottenere il suo scopo, sarà solo una imprevista necessità da risolvere senza tanti problemi.

Se c’è molto in questo di Raskolnikov, c’è però anche una  profetica previsione di tempi a venire, di vite usa e getta, di facili guadagni e tempo dissipato.

Non a caso la Tokio by night del malaffare, dei locali equivoci, con strade pullulanti del popolo della notte, è sempre molto esplorata da quel particolare cinema d’impegno sociale di Kurosawa che guarda alla società partendo dall’individuo, e qui fa da sfondo all’inchiesta minuziosa, capillare, di questi detectives molto poco americanizzati, soprattutto senza quel cipiglio cinico e sprezzante di tante gangsters stories, ma ciononostante molto efficienti e risolutori.

Lo studente e Gondo sono nella scena di chiusura uno di fronte all’altro, separati dalle sbarre. Poche parole.Il giovane ha voluto vederlo prima dell’esecuzione.

Gondo sta ricominciando una nuova vita, dopo il disastro economico è ripartito dal poco e guarda avanti con fiducia.

Lo studente va a morire, non ha niente per cui vivere, la sua morale si è rivelata fallimentare, capace solo di stampargli in bocca un sorrisetto beffardo che ben presto si trasforma in urlo selvaggio mentre le guardie lo portano via.

Gondo, ripreso di spalle, immobile, lo guarda impotente mentre cala il sipario, una pesante lastra di lamiera che nasconde le sbarre.

 

 

 www.paoladigiuseppe.it  

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