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Gli amori di una bionda

Regia di Milos Forman vedi scheda film

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La recensione su Gli amori di una bionda

di yume
8 stelle

Quello era il mondo allora, quella la gioventù che sogna sempre gli stessi sogni e quella la vita reale che glieli fa a pezzi, soprattutto quando l’ottimismo ufficiale di un regime (non sempre, necessariamente, sovietico) impone modelli a senso unico.

Gli amori di una bionda (1965): Trailer ufficiale italiano

Una storia vera, senza qualità.

Racconta lo stesso Forman: “In quel periodo non mi ero ancora risposato per la seconda volta e molto spesso trascorrevo le notti passando da un amico all’altro, da un locale all’altro. Un giorno mentre tornavo a casa in auto dopo la mezzanotte in via Vsehrdova, improvvisamente ho visto camminare sul ponte una ragazza con una valigia. Mi sono fermato ed ho chiesto se le servisse aiuto. Cosi mi ha raccontato che era venuta a trovare un ragazzo che aveva conosciuto poco tempo prima da lei a Varnsdorf. A Praga però capì che l’indirizzo che le era stato dato era falso. Fu lei a raccontarmi della situazione a Varnsdorf, che poi ho utilizzato per il film. Una cittadina vuota dopo la deportazione dei tedeschi, un’enorme fabbrica tessile, molte piu ragazze che ragazzi. A Zruc la situazione era analoga, l’unica differenza stava nella fabbrica, che era nuova e vicino a Praga”.(cit.dal pressbook)

 

Gli amori di una bionda, film del 1965 di Milos Forman, sottotitolato e restituito alla sua forma originale, privo cioè di quelle incrostazioni che strane politiche di distribuzione amavano (e amano) affibbiare a film che presumono di addomesticare, è un’immersione in apnea in un tempo della nostra storia irriconoscibile, stupefacente e amaro.

Eppure si tratta di soli cinquanta anni fa.

Non fa differenza che la storia si svolga a Praga e non a Roma, Parigi o Londra, dietro le diverse superfici spesso ci sono storie simili.

Ambienti, dinamiche relazionali, amori e disamori avvolsero il mondo per circa quindici/venti anni, dopo la Seconda Guerra Mondiale, in una specie di cintura di fuoco a sismicità molto elevata, che di lì a poco sarebbe deflagrata rendendo irriconoscibile tutto quello che era accaduto prima.

Appena tre anni dopo Gli amori di una bionda a Praga arrivò il ’68 e il resto è storia nota.

Lo è anche per il resto del mondo, che da allora non fu più lo stesso.

Assistere perciò a questo intreccio di storie di giovani nell’ età degli amori sullo sfondo dell’ordinario grigiore quotidiano di un tempo sospeso, apparentemente vuoto di tensioni, ancora ammorbato da antichi tabù, assurde convenzioni, violenze striscianti e ipocriti perbenismi ai danni soprattutto della donna, ha il fascino della scoperta archeologica illuminante, quella che rivela il motore nascosto da cui si è sprigionata la fiamma.

Andula e le compagne sono donne in bilico su quel crinale sottile che separa la libertà dall’asservimento. Vivono il loro tempo con la spontaneità leggera dei loro anni, creano nei loro discorsi semplici un mondo virtuale che traduce i sogni in qualcosa che credono di poter afferrare facilmente, ne subiscono il contraccolpo doloroso quando la realtà si presenta brutale alla resa dei conti.

locandina italiana 2017

Gli amori di una bionda (1965): locandina italiana 2017

Un Forman poco più che trentenne, ancora “praghese” e alle prime prove nel cinema (Konkurs,Il concorso, 1963 e Czernyz Petr, L’asso di picche, 1964, furono i precedenti, oltre ad una serie di corti) arrivò con Gli amori di una bionda nei principali festival del mondo a Venezia, Londra, New York, e ottenne la nomination come miglior film straniero all’Oscar (poi vinto da Lelouch con Un uomo una donna).

Prima di emigrare in America, quando fu chiaro che a Praga non era più primavera, lasciò una delle testimonianze più lucide e accorate della condizione giovanile e di tutto il corollario di totem e tabù che la rivoluzione di Dubcek non riuscì a sconfiggere.

La politica sembra esclusa dal film, che si muove con leggerezza e deliziosi tocchi di humour lungo un asse di banale quotidianità: lavoro in fabbrica, dormitorio collettivo, amicizie adolescenziali con il classico repertorio di confidenze amorose, balli dell’epoca nei grandi saloni di squallore sovrumano delle Case del Popolo, sesso e amore in gran confusione tra loro, la famiglia che si erge a frangiflutti quando si deborda dai ruoli assegnati.

Nulla sembra mancare, solo la politica.

Eppure c’è tutta, lo sguardo di Forman è così penetrante e spietato nel tracciare l’affresco di un’epoca con poche pennellate da lasciare poco all’immaginazione.

Quello era il mondo allora, quella la gioventù che sogna sempre gli stessi sogni e quella la vita reale che glieli fa a pezzi, soprattutto quando l’ottimismo ufficiale di un regime (non sempre, necessariamente, sovietico) impone modelli a senso unico.

Protagonista della Nova vlna, la Nouvelle vague cecoslovacca, Forman ne traduce gli stilemi (contaminazione fra documento e finzione, uso dell’improvvisazione, attori non professionisti affiancati da nomi conosciuti) con esiti di personalissima seduzione poetica.

L’ osmosi fra speranza e disperazione, la satira sociale e il ritratto plumbeo e alienante di uno spaesamento esistenziale, la sopravvivenza di energie giovanili che lottano per esistere e sopravvivere affidandosi a sciocche e tenere illusioni, tutto tende ad una lettura naturalistica del reale come strumento idoneo alla re-interpretazione della realtà.

Il processo di empatia che si stabilisce con il pubblico ne è il risultato più nuovo e significativo, si resta in silenzio a pensare a come eravamo e a chiederci se tutto quello che non siamo più è stato sostituito da qualcosa che vale.

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