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Al fuoco, pompieri!

Regia di Milos Forman vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Al fuoco, pompieri!

di sasso67
8 stelle

L’ultimo lungometraggio girato da Milos Forman in patria è una coproduzione tra Cecoslovacchia ed Italia (compartecipa Carlo Ponti), che si risolve in un film meno significativo rispetto ai precedenti dello stesso regista, Concorso (1964), L’asso di picche (1964) e Gli amori di una bionda (1965). E tuttavia anche Al fuoco, pompieri!, con il quale Forman si piega al colore (sempre ben padroneggiato da Miroslav Ondrícek), mantiene le caratteristiche di sotterranea ma corrosiva critica del sistema, incarnato qui da una disgraziatissima festa annuale del corpo dei vigili del fuoco. Il comitato organizzatore comincia con una riunione nella quale si decide di donare all’ex comandante un’accetta d’oro, in occasione del suo ottantaseiesimo compleanno, sennonché il regalo appare a chiunque poco opportuno, perché l’anziano sta morendo di cancro ed il presente sembra essere fatto in occasione della prossima dipartita, mentre tutti sono d’accordo nel constatare che avrebbe dovuto essere fatto l’anno precedente. Già durante i preparativi della festa sparisce una preziosa bottiglia di cognac, mentre durante il ballo vengono rubate le salsicce ed i cioccolatini con il liquore, dal tavolo dei premi della lotteria. In più, si rivela un completo fallimento l’organizzazione dell’elezione di una reginetta di bellezza e, come se non bastasse, prende fuoco la casa di un anziano che abita vicino ai locali dove si celebrano i festeggiamenti. E mentre i pompieri, quasi tutti molto anziani e semi ubriachi, non riescono a spegnere il fuoco (ci provano gettando contro le fiamme soltanto delle palate di neve), qualcuno ruba tutti i premi della lotteria, e non soltanto quelli. Non funziona niente, insomma, anche per colpa dell’incapacità dei pur volenterosi organizzatori. Restano soltanto, come sempre, il ballo e la birra, in abbondanza per tutti. La metafora formaniana sulla società cecoslovacca era abbastanza evidente e fu compresa anche da chi di dovere, tanto che il regista, mentre i carri armati dei paesi del Patto di Varsavia mettevano fine alla Primavera di Praga, vide bene di varcare velocemente la cosiddetta cortina di ferro.

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