La recensione su Alba fatale

 Non ci sono dubbi: William A. Wellman é un regista che merita una rivalutazione! Nonostante al giorno d'oggi( come moltri altri suoi colleghi dell'epoca) sia pressoché dimenticato il suo apporto a molti generi cinematografici classici è davvero notevole, degno di nota e non merita di passare inosservato. Nel 1931 ha contribuito alla nascita del gangster movie con Nemico pubblico, lanciando inoltre la carriera del grande, impareggiabile James Cagney( vi ricordate la sequenza del pompelmo spremuto sul viso di Kitty in un impeto d'ira? O l'indimenticabile sequenza finale, in assoluto una delle più sconvolgenti e impietose degli anni'30?), mentre nel 1937 ha diretto la prima versione( la migliore, dopo quella diretta da George Cukor nel 1954) di É nata una stella, con una memorabile Janet Gaylor. Questi sono forse i suoi due lavori odiernamente più ricordati e citati, ma la sua filmografia può contare su altri innumerevoli gioiellini, sconosciuti o poco più: penso soprattutto alle due commedie Nulla sul serio(graffiante,irresistibile, con una deliziosa Carole Lombard) e Condannatemi se vi riesce!( con un istrionica Ginger Roger), a Beau geste, con Gary Cooper( che all'epoca riscosse un grande successo e due nomination, ed é tuttora godibile e appassionante), alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa, Ali( famoso  per essere stato il primo film a vincere l'Oscar come miglior film). È però con questo Alba fatale del 1943 che Wellman ( cineasta poliedrico e dotato di grande mestiere)entra definitivamente nell'Olimpo delle leggende hollywoodiane, dimostrando la sua eccezionale capacità nel trattare argomenti sociali di rilievo attraverso l'utilizzo delle immagini e all'interno della narrazione di una storia compiuta, argomenti che i cineasti statunitensi (prediligendo realizzare pellicole di puro svago e intrattenimento, in cui la personalità del cowboy è permeata da un aurea di mito e leggenda) non erano soliti affrontare nella categoria western (salvo qualche rara eccezione). Lavorando su una sceneggiatura tratta da un romanzo di Walter Van Tilling Clark( con cui il regista collaborerà una seconda volta, qualche anno più tardi, con "Le belve") Wellman ha ricavato un dramma serrato,stringato,coinvolgente ed emozionante, non privo di tocchi ironici, diretto in maniera secca e concisa, ricco di pathos, molto parlato ma mai prolisso o ridondante, dove ogni personaggio ha una sua ragione d'essere, fattore che riesce a dar vita ad una riuscita coralità d'insieme arricchita ulteriormente dalla presenza di un cast strepitoso nel pieno della sua straordinaria forma artistica: Henry Fonda é perfetto, e sa lasciare( senza prevaricare) ampio spazio agli altri attori; Dana Andrews( nel ruolo dell'onesto padre di famiglia accusato e giustiziato ingiustamente) é ottimo e ci regala l'interpretazione più toccante della sua carriera; Frank Conroy è superbo nei panni dell'ex maggiore dei confederati( particolarmente riuscito il rapporto che ha con il figlio:incisivo e crudele); Jane Darwell aveva già dato prova delle sue doti nel capolavoro di John Ford " Furore", e qui le conferma appieno; Anthony Quinn sa rendere affascinante e misterioso il suo vagabondo messicano come pochi altri avrebbero saputo fare; Leigh Whipper é convincente quanto basta nella parte del predicatore che si oppone al linciaggio messo in atto dai cittadini del paese saccheggiato. Interamente girata in studio( per volere della Fox), quest' opera di stampo teatrale vigorosa, pessimistica, spietata e non consolatoria centra il bersaglio egregiamente con la stessa traiettoria di una sassata, risultando attuale anche più di settant'anni dopo la prima uscita nelle sale.