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His Three Daughters

Regia di Azazel Jacobs vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su His Three Daughters

di mck
9 stelle

Presenza: meno acuta assenza.

 

 

Questo è quanto ho da dire a proposito di “His Three Daughters”, film (stili e tematiche alleniane ♦ tra Jonathan Demme, Noah Baumbach e Alex Ross Perry) del catalogo distributivo originale Netflix sceneggiato, diretto e montato da Azazel Jacobs (newyorkese classe 1972 - “Terri”, “the Lovers”, “French Exit” - e figlio darte paracinematografica - sperimentalismo avanguardista underground: found-footage e re-photography - paterna e materna: i Ken & Flo di "Star Spangled to Death"), interpretato magnificamente (la scrittura stereotipica diventa carne che divora ogni cliché) da Natasha Lyonne (Orange Is the New Black”, “AntiBirth”, “Russian Doll”, “Poker Face”), Elizabeth Olsen (“Martha Marcy May Marlene”, “Ingrid Goes West”, “Wind River”) e Carrie Coon (“the Leftovers”, “Fargo 3”, “the White Lotus 3”)...

 

 

...con Rudy Galvan, Jovan Adepo, Jose Febus, Jasmine Bracey e – deambulante spoiler – Jay O. Sanders (il padre), fotografato “caldamente” (anche se la palette a volte si raffredda generando un larrysmith-eyeswideshutesco o un bélatarr-oszialmanachiano contrasto cromatico) da Sam Levy (“Wendy and Lucy”, “Frances Ha”, “Mistress America”, “LadyBird”) e musicato da Rodrigo Amarante (sua l’ottima “In Time”...

 

 

...sui titoli di coda), ovvero che, come per la maggior parte degli 8 miliardi di esseri umani attualmente in vita sulla Terra ed immediati dintorni, non è facile per me parlare di un simile film, e non per l’argomento trattato (migliaia di altre volte), ma per il come viene affrontato: magnificamente, con una composta (e chirurgica, nell’accezione “positiva” del termine) meraviglia.

 


♦ “Sussurri e Grida” di “8 Femmes” ridotte a 3 (sorellastre) raccolte al capezzale (“Amour” tra cure palliative e Do-Not-Resuscitate: “Beep. Beep. Beeeeeep!”, dice babbo papera con unultima flatline) del padre (anche qui “sempre” fuori campo: “già” oltre la soglia, per poi entrare oniricamente in scena congedandosi - anche davidbowmanescamente: “fuori” da sé - suo malgrado dalla vita attraverso la trasfigurazione organizzata dalle figlie operando sui ricordi e il momento) con “les Invasions Barbares” limitate a quelle dei divieti di fumare all’aperto (che, se lo spettatore odierno s’immedesimasse in uno d’inizio secolo, lo farebbero sembrare un film distopico).

 


Presenza: meno acuta assenza.

* * * * (¼) - 8.25    

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