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Quel motel vicino alla palude

Regia di Tobe Hooper vedi scheda film

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La recensione su Quel motel vicino alla palude

di scapigliato
8 stelle

Subito dopo il successo rivoluzionario di “The Texas Chainsaw Massacre”, Tobe Hooper rimette mano agli incubi nascosti della provincia abbandonata a se stessa e regala al pubblico dell’horror carnale questo “Eaten Alive”. Non magari un capolavoro, visto che la seconda parte del film è meno riuscita della prima e sembra inciampare nelle lentezze di una sceneggiatura partita bene e poi esauritasi, ma ciò che conta in questo genere sono certi elementi, certi disagi, e una certa estetica della rappresentazione atta appunto a rappresentarli. Fa niente se il coccodrillo assassino è visibilmebnte finto e legnoso da non far paura. Paura e inquietudine la fa infatti il vecchio Judd, una vera e propria bomba ad orologeria che una volta innescata dalle proprie turbe scoppia senza mezze misure. Il film è un rendevouz di turbati, psicotici, schizofrenici, disturbati sessuali, tra cui anche un giovane Freddy Kruger, Englund, e un caratterista caro al cinema B italiano come Mel Ferrer. Neville Brand, ovvero il pazzo vecchio gestore del Motel, ha una rassomiglianza incredibile con Klaus Kinski. Mi fa piacere pensare che il regista avesse voluto il grande attore polacco-tedesco, o che almeno a lui si fosse ispirato, per il suo folle protagonista. Un personaggio nato nel ’77 e che corre dietro alle sue vittime con una grossa falce strisciando la gamba lesa. Una mise che ricorda quella del Jack Torrance di “The Shining”, che è però del 1980.
La regia è perfetta e fa della pochezza di mezzi e di situazioni una seconda arma con cui dare un’aspetto allucinato all’intero film, dall’ambientazione, alle luci rosse, ai buii che ovattano personaggi e mostri, ai tanti pruriti sessuali che sono i principali deflagratori delle loro turbe, dal folle Judd, al marito isterico e al perverso Buck di Robert Englund. Un incubo ad occhi aperti che ha il suo punto di forza nell’unità di luogo e di tempo, proprio come “The Texas Chainsaw Massacre”, a cui vanno aggiunti i vari fuoripista narrativi che amplificano il senso di disagio dei personaggi disturbati trascinando anche lo spettatore in una spirale onirica e brutale da cui non si esce, e che non si fa troppe domande e non si pone troppi limiti di plausibilità e di pudore. Così come l’horror deve essere.

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