Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
CINEMA OLTRECONFINE - FESTIVAL DI CANNES 77: CONCORSO
L'ambizioso architetto Cesar Catilina (Adam Driver) ha un progetto faraonico ed altamente utopistico con cui si propone di ricostruire la città ribattezzata non certo a caso New Rome.
La base dell'avveniristico progetto è una vecchia metropoli quasi rasa al suolo a seguito di una catastrofe da cui la coscienza e responsabilità umana non è per nulla esente.
Come nell'Impero romano, il progetto mira a dare magnificenza alla città tramite soluzioni avveniristiche che vedono contrario al progetto il sindaco, tal Franklyn Cicero (Giancarlo Esposito), corrotto e conservatore.
La bellissima figlia di questi, Julia (Nathalie Emmanuel), invaghitasi dell'estroso architetto, ma anche succube di un padre che lo considera un nemico, non sa decidersi a chi votarsi in modo definitivo.
Se Hamilton Crassus III (Jon Voight), potente ed astuto anziano magnate assai influente tra i vertici cittadini, propende ad appoggiare il progetto di suo nipote Cesar, al contrario il cugino di costui, Clodio (Shia LaBeouf), è completamente infatuato di Julia e disposto a tutto per conquistarla.
Utopia e megalomania.
Genio e sregolatezza non meno di quanto accade nel magnifico The Brutalist di Brady Corbet.
Nella più recente, titanica, azzardata fatica cinematografica coppoliana, la polis paradisiaca e della perfezione nasce dal fango di un ghetto travolto dalla corruzione e dal malaffare, dopo che la catastrofe ha raso al suolo gli antichi privilegi sociali solo per crearne nuovi, non meno arbitrari e frutto di imposizioni e prepotenze.
Francis Ford Coppola realizza, finalmente, dopo immani difficoltà finanziarie che lo hanno portato sull'orlo di una rovina economico-finanziaria già vissuta in passato, e tutt'altro che scongiurata ora che si temono incassi magri, il suo sogno senza limiti, la sua opera forse più ardita e controversa.
Audace come lo conosciamo da decenni, incauto come solo un genio sa essere, forte della propria ispirazione, autodistruttivo come pochi altri geni suoi colleghi, senza paura di sconfinare nel kitch, incurante degli sbandi narrativi che disorientano ma anche affascinano lo spettatore, Megalopolis racconta, tra scenografie avveniristiche ed abbacinanti ed altre decisamente retrò e quasi minimal, una delirante genesi creativa sulla falsariga di un Impero romano magniloquente quanto perfetto solo esteriormente.
Megalopolis è un film inevitabilmente destinato a dividere, come accaduto a Cannes ove ha conteso nettamente la platea tra detrattori indefessi (la maggioranza) e adoratori senza sé e senza ma.
Però, senza dubbio, è anche il progetto titanico e farneticante, comunque stupefacente, di un genio visionario che si posiziona tra i maggiori artisti cinematografici mai esistiti ed operanti nel campo della settima arte.
Coppola nei suoi progetti più meditati, più cerebrali e maniacali è sempre stato così eccessivo, e così geniale.
Qui il regista di Apocalypse Now ha pure l'ardire di citare, tra gli altri, Orson Welles con la sua ampolla retrò innevata di una città stilizzata, e la creazione architettonica e progettuale che sta alla base del film presenta, come già anticipato sopra, curiose analogie con l'altro film geniale della stagione, quel magnifico The Brutalist di Brady Corbet visto, apprezzato e premiato al Concorso di Venezia 81.
Una cosa è comunque certa: quando Coppola si fa prendere da questi incontenibili deliri ispirativi ed da impulsi creativi a tal punto irresistibili ed irrinunciabili, quasi sempre ne esce fuori qualcosa di geniale e di definitivo, se non completamente straordinario.
Forse per Megalopolis occorrerà del tempo affinché esso venga assimilato, digerito, accettato ed apprezzato come senza dubbio merita.
E il tempo forse non è una garanzia di ritorno economico, ma un valido lasciapassare per poter annoverare questa sua esagerata fatica come un'opera fondamentale almeno tra quelle del decennio, o forse anche più.
Nell'eterno, inevitabile e forse anche un po' antipatico ed inutile confronto stilistico ed artistico che divide dualisticamente il cinema di Scorsese e quello di Coppola, l'opera presente di quest' ultimo, confrontata con il recente Killers of the Flower Moon, ci permette di trovare conferma sul fatto, già assodato in passato, che alla misura e matematica precisione stilistico narrativa derivante da un controllo artistico totale di tipo scorsesiano, si oppone nel suo ideale antagonista il caos genialiode e bulimico di stampo coppoliano che genera alti e bassi (più alti che bassi invero) in grado di raggiungere vette magistrali.
La perfezione come qualità garantita a scatola chiusa, ma forse proprio per questo data per scontata, alla lunga, si oppone ad uno stato di sospensione che coglie lo spettatore ogni volta che ci si possa finalmente confrontare, come ora con Megalopolis, con una nuova opera di Francis Ford Coppola.
Per questo, pur ammirando incondizionatamente entrambi, spesso è lecito tifare per quest' ultimo che, tra i due, appare più umano, più vulnerabile, e per questo più predisposto a stupire e meravigliare, oltre che sbagliare con classe e talento.
In Megalopolis tutto questo accade.
Accidenti se accade! Ma per fortuna che accade...
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