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Quattro mosche di velluto grigio

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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Badu D Shinya Lynch

Badu D Shinya Lynch

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La recensione su Quattro mosche di velluto grigio

di Badu D Shinya Lynch
8 stelle

 

 

4 Mosche di Velluto Grigio è il film premonitore di Dario Argento; il suo film come sogno.

Il terzo film del regista italiano è preda di una sorta di "strabismo autoreferenziale", ovvero una sorta di transessualità cinematografica: così come il killer viene rifiutato dal padre in quanto femmina poiché quest'ultimo vorrebbe in realtà un figlio maschio, attraverso una sorta di mossa metacinematografica, anche il film non viene riconosciuto dal proprio padre, ovvero dal regista, come un giallo, perché egli vorrebbe che fosse a tutti i costi un horror, nonostante la natura iniziale della pellicola non sia quella.

Non a caso, se fino ad ora - così come avverrà nuovamente nei suoi lavori futuri - nei suoi film è sempre avvenuta una sorta di trasfusione esistenziale, ovvero il filmmaker che trasferisce le proprie paure, sogni ed incubi nei suoi film, si può dire che, invece, in 4 Mosche di Velluto Grigio avvenga una trasfusione autoriale; come riportato nelle righe precedenti, si evince, ora più che mai, l'impellenza orrorifica insita in Dario Argento, nonché il sopraggiungimento dell'horror nel cinema del maestro del brivido. Infatti, sempre in base a ciò scritto poc'anzi, stavolta, nello specifico, non avviene - com'era accaduto fino ad ora nei suoi film e come accadrà nuovamente in futuro - la trasfusione dei suoi sogni, ma qua avviene specificatamente la trasfusione dei sogni. Ecco perché potrebbe essere definito, da un certo punto di vista, il suo film più onirico, lynchiano. Come scritto all'inizio: il suo film come sogno.

Insomma, ecco perché risulta essere, inevitabilmente, il suo film più labirintico ed ambiguo; il suo lavoro più perversamente e (pre)potentemente ambiguo; la sua pellicola più sospesa e fumosa. Il suo lungometraggio più incerto.

Il suo film più limbale.

L'opera(zione) di Dario Argento più "insicura di sé".

Come fosse un incontro bisessuale tra Inferno e Profondo Rosso.

 

Mimsy Farmer, Michael Brandon

Quattro mosche di velluto grigio (1971): Mimsy Farmer, Michael Brandon

scena

Quattro mosche di velluto grigio (1971): scena

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Quattro mosche di velluto grigio (1971): scena

 

4 Mosche di Velluto Grigio è il suo film più sinistro, "mancino"; come se fosse quello girato con la mano sinistra da un regista ambidestro. Un film-altro e pre-decisivo; un (disap)punto di svolta. Se questo segna, difatti, un punto di svolta in divenire, nonché in positivo, nella sua filmografia, Opera decreta un punto di svolta in negativo, invece: 4 Mosche di Velluto Grigio è il trovarsi e il scoprirsi del suo cinema; Opera è il perdersi di esso. Scoprire, quindi, la sessualità del suo cinema; l'identità sessuale di quest'ultimo. Appunto, una momentanea ed indispensabile transessualizzazione, necessaria per far sì che avvenga, da lì in poi, la trasformazione del suo cinema. In un certo senso, una proto-tenebreizzazione del suo cinema. Infatti, successivamente, arriveranno per Dario Argento una serie di capolavori, di cui il sopracitato Profondo Rosso, del quale 4 Mosche di Velluto Grigio ne risulta una versione embrionale e crisalidale, nonché transessuale [a conferma di quest'ultimo punto, basterebbe la presenza del pupazzo come sostituto maschile, nonché involucro, dell'antagonista femminile].

Tornando ad Opera, questo risulta, per tutto ciò elencato nelle righe precedenti, il controcampo definitivo e abissale di 4 Mosche di Velluto Grigio. C'è da dire, inoltre, che entrambi i film dialogano anche da un punto di vista strettamente oculare, peculiarità concettuale che nel Cinema argentiano risulta ridondante.

Quindi, per tutto questo, 4 Mosche di Velluto Grigio risulta uno dei suoi lungometraggi indubbiamente più importanti.

 

scena

Quattro mosche di velluto grigio (1971): scena

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Quattro mosche di velluto grigio (1971): scena

 

Come già scritto, un punto di svolta, quindi un incidente argentiano; una sorta di decapitazione o, meglio, infibulazione del suo cinema precedente. Di conseguenza, 4 Mosche di Velluto Grigio risulta il più teso dei suoi film, anche e soprattutto per la presenza di questa forte componente sessuale; per questa inesorabile sessualizzazione riconoscitiva del suo cinema. A conti fatti, quindi, la sua pellicola più soffocante ed intrappolante; più costringente e prepotente; più pulsionale e passionale. In sostanza, il terzo film del regista di Suspiria risulta essere il più sporcamente e mascheratamente psicoanalitico; il più brutalmente freudiano.

Oniricamente erotico.

Il bilanciamento tra un film mentale e un film carnale; uno strambo incontro tra Ruiz e Cronenberg.

 

scena

Quattro mosche di velluto grigio (1971): scena

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Quattro mosche di velluto grigio (1971): scena

 

Ed, in un certo senso, è come se risultasse anche la sua opera più ipnotica, quasi velenosamente soporifera. Come se fosse Dario Argento, in un modo o nell'altro, a decidere cosa far vedere allo spettatore ad occhi chiusi o, forse, a decidere cosa far immaginare al pubblico ad occhi spalancati.

 

scena

Quattro mosche di velluto grigio (1971): scena

 

Ed è anche per tutte queste cose che 4 Mosche di Velluto Grigio risulta una sorta di lavoro iniziatico ed apotropaico. Un film raro e rarefatto; diverso e diversificante; innovativo ed ambivalente.

Nuovo.

 

E se Suspiria è il suo film più pericoloso, 4 Mosche di Velluto Grigio è il suo più pericolante.

 

scena

Quattro mosche di velluto grigio (1971): scena

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