Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film
NELLE SALE ITALIANE IL 21 NOVEMBRE 2024
VISTO IN STREAMING SU NOW TV NELL'OTTOBRE 2025
Gabriele Salvatores firma un dramma che miscela nostalgia, avventura e tensione emotiva. Ambientato nella Napoli del 1949 e nella New York degli immigrati italiani, il film racconta la fuga di Celestina e del suo amichetto scugnizzo Carmine, due bambini che salgono di nascosto sul piroscafo statunitense Victory, per cercare la sorella che crede sposata negli Usa. La traversata e l’arrivo in una città sconosciuta diventano il cuore della narrazione.
Napoli New York (2024): Dea Lanzaro, Antonio Guerra, Gabriele Salvatores
Nei primi venti minuti senza Pierfrancesco Favino (dal 13 novembre 2025 nella sale con Il maestro), il film si concentra sui bambini - gli esordienti al cinema Dea Lanzaro e Antonio Guerra - e qui Salvatores fa centro: le interpretazioni sono naturali, spontanee, capaci di restituire emozioni credibili e tensioni vere. I due piccoli protagonisti meritano un elogio pieno: catturano immediatamente l’attenzione e diventano il vero motore emotivo della storia. Ma l'applauso va anche a chi li ha diretti, estraendone il succo migliore di attori in erba. Un po' di spazio, in questa parte, per il cuoco afroamericano George (Omar Benson Miller), una sorta di Forest Whitaker de noantri, che conferisce il giusto grado di sdrammatizzazione alla vicenda filmica.
Dopo poco più di venti minuti (troppi) fa il suo ingresso Favino, che dà un ritmo tutto nuovo alla narrazione. Il suo commissario di bordo Domenico Garofalo - anch'egli di origine campana, collaborante con la marina statunitense - è un personaggio complesso, interpretato con eclettismo e realismo dall'attore romano, che alterna napoletano, italiano e inglese, talvolta inciampa sulle parole, ma proprio con questa cialtronaggine aggiunge autenticità al personaggio. Favino trasforma un uomo inizialmente cinico, pusillanime e zelante in una figura generosa, capace di solidarietà e umanità, che guida la storia fino alla parte finale, nonostante un minutaggio ristretto per un attore protagonista.
Napoli New York (2024): Pierfrancesco Favino
La traversata dell'Atlantico è resa con sufficienti poesia e tensione, con la macchina da presa che mette in mostra i macroscopici divari economici e sociali tra chi fuggiva da un'Italia devastata dalla seconda guerra mondiale e chi tornava in un'America arrembante, già in pieno boom economico. L’arrivo al posto di 'quarantena' dei migranti, Ellis Island, sotto lo sguardo un po' severo - da "Madonna del Carmine" - della Statua della Libertà, appare più convenzionale e stereotipato: ampie panoramiche di valigie e povera gente rischiano di risulatare banali e stereotipate, ma piccoli dettagli e inquadrature intime compensano parzialmente. La ricostruzione della Little Italy funziona per rendere l'idea di quel piccolo spaccato d’Italia a New York, nostalgico, autentico e ricco di dettagli. Oggi scomparsi o addirittura macchiettistici.
Napoli New York (2024): Antonio Guerra, Dea Lanzaro
Il finale trasforma il film in un dramma legale incentrato sul rischio di una condanna a morte per la sorella di Celestina, con tanto di campagna stampa messa in piedi dall'amico giornalista di Garofafalo, Joe Agrillo (spumeggiante cameo di Antonio Catania - troppa commedia leggerissima per lui negli ultimi anni) e processo in grande stile. Pur risultando, anche in questo caso, un po’ prevedibile e didascalico, il film si accaparra la compassione dello spettatore non troppo severo e non intacca la sufficienza del film.
Napoli New York ha evidenti punti di forza: la prova straordinaria dei bambini, la presenza magnetica di Favino, l’atmosfera nostalgica e la poesia visiva della regia. Le debolezze sono limitate ad alcune scene troppo convenzionali, che sarebbero potute essere occasioni per raccontare quel momento storico con un pizzico di originalità. L'opera, al tirar delle somme, non si limita a raccontare una storia di migrazione: ci restituisce uno specchio impietoso di come gli italiani degli anni Cinquanta fossero trattati negli Stati Uniti - alla stregua di bestie da tenere a distanza, sporche, invasive, ladri. Una condizione di disprezzo sistematico, che oggi, guardando indietro, dovrebbe farci riflettere. Con questa parte della pellicola il cineasta partenopeo non ricostruisce solo la memoria storica: sta ammonendo. Sta ricordando ai suoi connazionali - a noi tutti - quale fosse il peso dell’ostilità irrazionale, del razzismo che trasforma l’umanità in sospetto. Un monito che suona ancora più amaro se si pensa che, di lì a pochi anni, quegli stessi italiani sarebbero diventati sindaci, imprenditori, mecenati celebrati - la stessa comunità che, in patria, oggi spesso guarda con diffidenza chi parla un’altra lingua, chi ha la pelle più scura, chi è solo più povero. C’è una parabola storica in questo: da emigranti disprezzati a cittadini che disprezzano.
Napoli New York (2024): Dea Lanzaro
Nel complesso, la sufficienza è abbondante. Non un capolavoro, ma un film che emoziona, coinvolge e restituisce umanità senza scadere in sentimentalismi eccessivi, confermando Gabriele Salvatores come regista capace, in questa terza parte della propria carriera, di fondere memoria storica e sentimenti veri.
Voto 6,5: rivedibilità 6/10.
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