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Jay & Silent Bob... fermate Hollywood!

Regia di Kevin Smith vedi scheda film

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La recensione su Jay & Silent Bob... fermate Hollywood!

di PompiereFI
4 stelle

Un’ordinanza restrittiva chiesta da Dante e da Randal vieta a Jay (Jason Mewes) e a Silent Bob (Kevin Smith) di sostare davanti all’emporio e al videonoleggio dove erano soliti trascorrere le giornate. Gli sbandati gestori già visti in “Clerks” ne hanno abbastanza delle mattane dei due spacciatori, e grazie al provvedimento giurisdizionale ottengono il loro congedo. Jay e il taciturno Bob, una volta “per strada”, vengono a sapere che si sta girando una pellicola ispirata a una coppia che in qualche modo li rappresenta: “Bluntman & Chronic”, fumetto underground per il quale la Miramax ha investito i capitali produttivi. Gli amiconi partono così dal New Jersey alla volta di Hollywood nel tentativo di bloccare il lavoro e mettere a tacere tutti i denigranti pareri di perfetti sconosciuti ricevuti via Internet.

 

Kevin Smith, apprezzatissimo autore indie, tenta di rinverdire il successo del suo film d’esordio cercando di far risaltare quei personaggi che, nella precedente fatica cinematografica, erano più ai margini rispetto a Dante e Randal. Ma dal passo del teppista a quello di un civile primitivo il cambiamento è breve. In “Fermate Hollywood!” non troviamo traccia di quelle battute sarcastiche e pungenti che caratterizzavano il debutto. Qui crescono solo erba da spacciare ai ragazzini e stupide barzellette oscene che non si vergognano della smaccata ingenuità, di chiappe e cosce al vento, e di un linguaggio scurrile che non punge e non fa sempre ridere.

 

Il regista nonché sceneggiatore sembra interessarsi solo a inscenare una specie di confronto tra i sessi: da una parte i maschi condannati al ruolo di portabandiera dei “pussy hunter”, dall’altra le femmine furbe e isteriche catapultate in situazioni assurde ed estreme che riconducono alla fornicazione fine a se stessa, come nelle peggiori teen comedy dalle quali si vorrebbe (?) prendere le distanze. Lo stile narrativo omogeneo di “Clerks” si scioglie rinunciando ai monologhi logorroici e perdendo così in ingegnosità e piacevolezza. Tutta la creatività messa in scena si risolve in alcuni stereotipi come i “congegni rosa” usati per un’incursione da film di spionaggio che presto sconfina nel poliziesco (chissà perché l’ordine deve stare sempre dietro l’angolo e intervenire a salvare i film come fosse l’unico escamotage possibile per assestare le commedie perdute).

 

Non appena si crea un’occasione che possa estorcere un sorriso (vedi il libro non scritto della strada che si confonde con i dogmi della Bibbia a cui crede la suora Carrie Fisher), c’è subito una trappola pronta che rovina la festa: una giusta causa animalista si sovrappone alla cotta sentimentale di Jay, mettendo in luce quelle inutili scene di puerile corteggiamento che  non si vedono più nemmeno all’asilo. Ne scaturisce una farsa sconclusionata che vaga senza un canovaccio credibile, esitante tra caricatura e artificiosa comicità contingente. Smith sembra non aver più voglia di ribellarsi e disturbare: il suo assalto al fortino hollywoodiano è finto perchè sprovvisto di autentiche munizioni.

 

La pellicola risente di un meccanismo cinematografico che cala marcatamente man mano che la narrazione procede. E a niente servono le simpatiche apparizioni di Gus Van Sant, Wes Craven, Jason Biggs, Ben Affleck, Matt Damon, Will Ferrell, e l’ortodossa scenetta con Mark Hamill (che fine hanno fatto i costruttori della Morte Nera ne “Il ritorno dello Jedi”?), tutti mescolati in un pirotecnico susseguirsi di camei senza capo ne’ coda che, non appena accennano al gusto dell’omaggio, vengono ricoperti da improperi che avvincono solo chi li ha pensati e scritti.

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