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Sweet Sixteen

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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La recensione su Sweet Sixteen

di FilmTv Rivista
8 stelle

Dopo due prove opache (Bread and Roses e Paul, Mick e gli altri), un bel film. Ken Loach riscopre la sua classicità perduta, che ovviamente non è relativa alle storie o alle modalità produttive ma allo sguardo. È forse l’unico regista europeo che permette di tornare sul dibattito “teorico” per eccellenza: realismo o finzione? Più Francesco Rosi che Roberto Rossellini, il cineasta britannico, che cita il neorealismo come ovvia fonte d’ispirazione, non si accontenta di raccontare o interpretare la realtà nel suo divenire (la “fenomenologia”), ma interviene direttamente sulla materia. È un militante puro, con un occhio schierato e un’idea di mondo netta, chiara, trasparente. Pregio e insieme limite, perché in questo caso la scelta di visione coincide con quella di campo. A volte si rischia la declamazione “politica”, la retorica. Ma Sweet 16 vola altissimo, perché la sceneggiatura pregna di senso etico del solito Paul Laverty va a braccetto con facce che parlano da sole, con situazioni di degrado sociale che, in quanto autentiche e misconosciute, hanno bisogno di trovare una voce attraverso il cinema. Non è facile avere sedici anni, una madre in carcere, amici balordi e come unico modello comportamentale quello violento degli adulti. Accade in Scozia, accade ovunque. Loach non è così ingenuo da credere che l’arte cambi il mondo. Ma in fondo ancora ci spera. E noi con lui.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 9 del 2003

Autore: Mauro Gervasini

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