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L'uomo senza passato

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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La recensione su L'uomo senza passato

di Peppe Comune
9 stelle

Un operaio (Markku Peltola) arriva di notte alla stazione di Helsinki dove viene derubato e picchiato brutalmente da un gruppo di malviventi. Ridotto in fin di vita, l’uomo viene condotto in ospedale dove i medici lo dichiarano clinicamente morto. Invece l’uomo è ancora vivo, si rialza e riesce ad allontanarsi dall’edificio. Ritrovato svenuto sulla riva del mare, l’uomo viene aiutato a rimettersi in sesto da Nieminen (Juhani Niemela) e la moglie Kaisa (Kaija Pakarinen), una famiglia di baraccati che vive ai margini della città. Scopre di aver perso la memoria, di non ricordare nulla del suo passato, neanche il nome. Grazie al loro aiuto e a quello di altri abitanti della zona, trova alloggio in un container vicino che viene reso decorosi con attrezzi di scarto presi un po’ in giro. Deve però pagare l’alloggio ad Antilla (Sakari Kuosmanen), un guardiano non proprio onesto che vorrebbe fare il duro ma che riesce solo ad essere ridicolo. Una sere si reca alla mensa dell’Esercito della salvezza e conosce Irma (Kati Outinen), una volontaria dell’ organizzazione impegnata nell’aiuto ai bisognosi, una donna timida e taciturna che lo aiuta non poco a rifarsi una vita. Tra di loro nasce del tenero, l’uomo incontra l’amore e ritorna a sperare nel domani.

 

Come spesso succede con il cinema di Aki Kaurismaki, alla riflessione amara sullo stato di cattiva salute della società che sempre fa da sfondo alle sue storie, si accompagna l’affetto caloroso accordato agli emarginati sociali, quelli pronti a rispondere con un sorriso ad ogni torto subito dalla vita e a scambiarsi aiuti disinteressati con altruistica devozione. Non fa eccezione “L’uomo senza passato” (premiato a Cannes con il Gran Premio della giuria) che, anzi, è probabilmente il film che meglio compendia la poetica dell’autore finlandese, sia per come equilibra l’amarezza che permea nel profondo storie di ordinaria precarietà esistenziale con uno schema narrativo che investe molto sulla “miracolosa” dissacrazione della tragedia, che per l’uso simultaneo di quasi tutti gli ingredienti tipici del suo cinema. Ci sono le bevute a fiumi e l’amato rock a scandire i tempi narrativi come se si trattassero di pause rigeneratrici, l’ironia mista a tristezza che accompagna discreta le traversie esistenziali di un povero smemorato, l’istinto solidaristico che alberga negli emarginati sociali, le decisioni calcolate al millimetro di freddi burocrati, il grigiore indistinto della periferia suburbana e il calore umano che la invade di colore, la laconicità di persone essenziali e il cuore vigile di chi ha tanta voglia di tenerezza. Poi c’è il tema caro della fuga, che per il nostro uomo senza memoria si riferisce a quella da un passato da cui nessuno lo cerca e che lui neanche si preoccupa più di tanto di voler conoscere, una fuga che si qualifica come naturale conseguenza del suo stato emotivo, generata in un presente che già gli sembra il massimo a cui poter ambire. La sua vita è ormai tutta in quel mondo che gli ha fatto ricordare il potere lenitivo della buona musica e la forza rigeneratrice dei sentimenti sinceri, la sua verginità alla vita gli fa scorgere in tutta evidenza il contrasto latente che esiste tra l’essenzialità produttiva delle relazioni umanizzanti e i meri formalismi di una società che sta disimparando ad andare oltre alle facili apparenze. I dottori dell’ospedale avevano decretato la morte dell’uomo “senza passato” certificandone l’assenza di ogni carica vitale, gli umili della terra lo hanno rimesso in vita fornendogli due occhi per poter guardare con speranza al domani. Lui è in mezzo, senza un passato da cui poter prendere indizi e con un presente precario che diventa l’unica cosa con cui potersi confrontare, tra una società che non lo vuole perché non può riconoscerne l’identità legale e un mondo che lo ha accettato per quello che è, facendogli solo le domande necessarie e senza porre troppe condizioni sulla nascita possibile di una proficua relazione emotiva. Il nostro uomo deve ricominciare da zero, reimparare il nome degli oggetti e reimpostare le coordinate migliori per potersi orientare in un mondo che non sa più riconoscere. Non ha più un nome e pretende sempre di conoscere quello degli altri, perché ha scoperto sulla propria pelle che senza un nome con cui poter essere identificato non sei nessuno e se non sei nessuno in una società che esige la catalogazione di ogni suo cittadino il pericolo ti si cuce addosso come la pella che ti appartiene. Irma si chiama la sua salvezza, la donna che lo rimette in gareggiata nella nuova vita che si sta costruendo, facendogli riassaporare le sensazioni dolci che solo l’amore vero sa regalare e portandolo a guardare al domani facendo esclusivo riferimento alle sensazioni pulite di una dignità ritrovata. Grande Aki Kaurismaki, che sa parlare dei mali dei nostri tempi col tocco lieve di un ricamatore di favole per adulti. Mostrandoci ogni volta il miracolo naturale della semplicità.

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