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L'avversario

Regia di Nicole Garcia vedi scheda film

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La recensione su L'avversario

di MarioC
8 stelle

Non è soltanto la rivisitazione di uno dei casi giudiziario-criminali più sconvolgente di tutti i tempi, ma anche la parabola tristemente coerente di un uomo che, prima di essere un aberrante omicida, è stato, anche e soprattutto per se stesso, un codice di regole sconosciute, un accidente di passaggio, un guscio vuoto rivestito di rispettabilità sociale.

L'avversario racconta delle concatenazioni logicamente infallibili che fanno di un adolescente, mentitore per circostanze contingenti, un adulto che si inventa una vita diversa (meglio: quella che avrebbe dovuto/voluto avere) e che persegue con inflessibile costanza la costruzione del proprio castello di sabbia, sino a rimanere schiacciato dalle circostanze che egli stesso ha, con grande precisione, messo di traverso tra sé, la propria cerchia di affetti e la verità.

 

Nicole Garcia si ispira all’omonimo libro di Emmanuel Carrère, un reportage un po’ alla Capote, secco, preciso, in molti punti asettico, ma capace di infondere nel lettore la medesima stranita angoscia dell’autore, il quale non può fare a meno di domandarsi le ragioni di un misteriosissimo afflato che a volte traspare nei confronti di quell’esemplare di uomo capace di cancellare, in pochi istanti, la vita delle persone che lo amavano, le uniche che, una volta che la menzogna si fosse manifestata in tutta la sua sconvolgente portata, avrebbero potuto aiutarlo.

La ricostruzione del romanzo è molto fedele, poiché la regista evita facili giudizi morali (del resto insiti nell’orrore di cui Romand si fece artefice), per concentrarsi sui chiaroscuri di un uomo alla deriva, inizialmente marito affettuoso e padre felice, quindi coniuge fedifrago ed incallito truffatore, infine terrificante assassino.Ma sempre (e per sempre) studente mai laureato, ragazzino mai cresciuto, complessato cucciolo di uomo schiacciato dal peso del dover essere.

 

Inutile e un po’ superfluo elevare peana a favore di Daniel Auteuil, probabilmente l’unico attore che, con la sua aria solo in apparenza dimessa, in realtà capace di vivificare ogni singolo, incomunicabile moto dell’anima, avrebbe potuto dar corpo a quel Jean Claude Romand, insignificante e, come ebbe a definirlo lo stesso Carrère, molliccio.

Una interpretazione magistrale, di cupezza infinita, che trasmette tutta la insondabilità dell’animo umano, peraltro instillando il dubbio che nessuno possa sentirsi esente da colpe, nelle sue piccole meschinità quotidiane e nei suoi inesausti tentativi di galleggiare tra marosi in fondo insignificanti.

 

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