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L'avversario

Regia di Nicole Garcia vedi scheda film

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La recensione su L'avversario

di Kurtisonic
7 stelle
Regista e attrice francese, Nicole Garcia estrae dalle disfunzioni del quadro famigliare i temi e gli spunti ricorrenti nei suoi film. L'avversario, tratto dal romanzo di E.Carrere, è anche la trasposizione di un fatto di cronaca avvenuto in tempi recenti. Jean Marc Faure, una volta interrotto il suo percorso di studi, si finge ricercatore medico e inganna chiunque gli sta intorno, si costruisce una vita assolutamente falsa e adeguata al rango sociale mai raggiunto. L'incipit del racconto svela se non nei particolari, lo sviluppo della storia smontando un possibile decorso narrativo fatto di sorprese e di tensione, in favore della decifrazione psicologica del personaggio principale interpretato da D.Auteuil. Icona del cinema francese contemporaneo,con gli altri interpreti, dal "quasi amico Cluzet, all'irrequieta e sensuale Devos, all'insoddisfatta Pailhas che costituiscono la sostanza dell'intero cast, fornisce quello specchio aderente alla realtà, fatto di volti qualunque, di gesti comuni, di pensieri frequenti che garantiscono ancora al cinema d'oltralpe una buona credibilità, una sensibilità e una vicinanza al quotidiano che lo rende quasi sempre accettabile, cosa che nel panorama nostrano risulta spesso un traguardo irraggiungibile. N.Garcia si attrezza con due elementi cardine, la storia forte che si dimostra efficace e interessante anche a dispetto della considerevole lunghezza del film non sempre giustificabile, e la prova "monstre" di Auteuil, come detto il volto universalmente comune, adattabile ad ogni ruolo restando fedele a sè stesso, denunciando ciò che traspare  e che lo trasforma in una maschera in cui ci si può soventemente ritrovare. Rimanere però esclusivamente sul punto di vista del protagonista se dal versante psicanalitico ci fornisce tutto il disagio, l'irrazionalità, lo smarrimento del personaggio (peraltro già ben raffigurato dalla maschera Auteuil) esclude in buona parte la dimensione pubblica e sociale di Jean Marc legata agli altri, ai suoi contesti affettivi e relazionali, (si vedono ma sono esclusivamente funzionali alla descrizione della cronaca). La regista resta proprio ancorata al fatto in sè e chi ha letto il libro saprà anche dire se la pagina scritta segue la stessa univoca trama, mentre sarebbe stato anche interessante ampliare lo sguardo sui meccanismi di relazione del contesto borghese agiato e perbenista che si misura con la falsa figura del dottore, che in base alla sua posizione spaccia una presunta autorevolezza universalmente riconosciuta. In realtà il film non ignora questa componente poichè deve anche soddisfare le curiosità legittime dello spettatore, cioè riguardo a come si garantisce il tenore di vita così alto, e come occupa il suo tempo quando esce di casa dicendo di andare a lavorare, millantando impegni fasulli, appuntamenti fantasma etc. Ogni domanda sarà esaustivamente appagata mentre si delinea quel mondo complesso che occupa la testa di Jean Marc incapace di confessare a se stesso e ad altri il suo inganno. Dirà:

" ..Tutto è troppo lento quando si è soli con quello che non riusciamo a dire.." innescando un'abissale voragine compulsiva piena di normalità, di superficialità, di un instancabile rumore di fondo. L'epilogo silenzioso mette finalmente in conflitto la sua condizione interiore, fatta di marginalità e di solitudine. La sua follia non la spiegherà nessuno, troppo simile alla vita normale a cui tutti aspirano.

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