Espandi menu
cerca
Che ora è laggiù?

Regia di Tsai Ming-liang vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Peppe Comune

Peppe Comune

Iscritto dal 25 settembre 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 176
  • Post 42
  • Recensioni 1434
  • Playlist 56
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Che ora è laggiù?

di Peppe Comune
7 stelle

Hsiao-kang (Lee kang-sheng) è un ragazzo che vende orologi per le strade di Taipei. Un giorno si ferma alla sua bancarella ambulante Shiang-chyi (Chen Shiang-chyi), che intende comprare un orologio che segni anche il fuso orario europeo perchè è in procinto di partire per un viaggio a Parigi. Il ragazzo gli vende l'orologio che porta al polso, quello donatogli dal padre (Tien Miao) poco prima di morire. Da quell'incontro, colpito da un evidente colpo di fulmine per la bellissima ragazza, Hsiao-kang regola tutti gli orologi che incontra all'ora di Parigi. Intanto la madre (Lu Yi-Ching) ha trasformato la casa in un sacrario per il marito defunto, crede di vederlo incarnato in ogni insetto che gironzola per casa e ha staccato la corrente elettrica perchè al buio il suo spirito possa meglio rivelarsi.

Quello di Tsai Ming-liang è un cinema teso a riflettere sull'aliente incomunicabilità in atto nel mondo contemporaneo, che si desume più dalla fissità dei corpi che ne qualificano la sua essenza sistemica che dalle parole che ne possano chiarire i contenuti. Un cinema caratterizzato da lunghe inquadrature e da brevi movimenti di macchina, capaci di catturare notizie sufficienti sulla precarietà emotiva dei protagonisti concentrandosi esclusivamente sulla "banale" rappresentazione di tanti gesti ordinari (ricalcando in questo le orme di Yasujiro Ozu), dai quali si rivela, sia quella solitudine di fondo che ne permea profondamente la condizione esistenziale, che la sostanziale anonimia sociale di cui sono resi succubi. In "Che ora è laggiù", la cifra stilistica ostinatamente regolata all'ora (è proprio il caso di dirlo) di una desolante inadeguatezza sociale è appena mitigata dalla possibilità offerta ai personaggi di questa storia di pensare alla fuga oltre l'ordinaria percezione della dimensione spazio-tempo come a un modo di diventare finalmente arbitri dei propri desideri. Tutto ruota attorno alla nascente ossessione di Hsiao-kang per la bella Shiang-chyi che lo porta a voler regolare ogni orologio che incontra all'ora di Parigi, come se la condivisione di una di una stessa percezione del tempo bastasse ad avvicinare spazi lontanissimi e ad infondere la persuasione che anche così è possibile generare una qualche forma di vicinanza sentimentale. Questa scelta porta alla creazione di due vicende narrative tra loro complementari che hanno nella presenza di situazioni alquanto surreali la matrice qualificante della loro ragionevole verosimiglianza. L'una si consuma interamente nella casa di Hsiao-kang, dove la madre, credendo che lo spostamento delle lancette dell'orologio sia dovuto allo spirito reincarnato del marito, riorganizza la vita domestica secondo l'orario deciso dalla sua volontà, rispettandone le abitudini culinarie e i bisogni fisiologici. L'altra fa perno sul parallelismo emotivo tra Hsiao-kang e Shiang-chyi, che inconsapevolmente si ritrovano all'incrocio di medesime esperienze esistenziali. Il ragazzo è a Taipei, inabissato nella desolante solitudine di sempre, cerca in compagnia di una prostituta quel piacere sessuale che vorrebbe appagare in altro modo ; la ragazza è a Parigi, fagocitata in una città assai poco attraente, molto più vicina a Taipei di quanto osasse immaginare, non trova quello che si sarebbe aspettata e scopre il piacere omosessuale grazie a una ragazza di Hong Kong (Cecilia Yip) conosciuta per caso. Ma è soprattutto attraverso il sentito omaggio a "I 400 colpi" di Francois Truffaut e all'utilizzo di una misurata visionarietà dei contenuti che Ming-liang rende note le sue intenzioni "poetiche" e così, mentre Hsiao-kang compra e consuma notte tempo la storia dell'infanzia negata del piccolo Antoine Doinel, Shiang-chyi si ritrova seduta su una panchina di un cimitero di Parigi accanto a Jen Pierre Leud. Il tempo cinematografico e quello della vita reale, così come i rispettivi spazi rappresentati uniti a quello della casa di Taipei, tendono a coincidere a distanza di anni e di migliaia di chilometri nella concretizzazione di una stessa entità sensoriale che diventa mezzo e fine di una volontà di potenza sottratta ai limiti della sola realtà sensibile. E' possibile avvicinare spazi lontanissimi sincronizzando tutto il mondo all'ora delle medesime problematiche esistenziali. Questo sembra ulteriormente suggerirci il bellissimo finale, che ritrae il padre di Hsiao-kang raccogliere una valigia dall'acqua in un parco di Parigi mentre Shiang-chyi si è addormentata su una panchina, e questo sembra essere la sottile denuncia politica lanciata da uno degli autori più importanti e stilisticamente incisivi del sudest asiatico.

 

 

 

 

 

 

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati