Regia di Gustav Möller vedi scheda film
Il plurale usato per titolare questo secondo film di Gustav Moller, quasi quarantenne regista svedese, è emblematico della storia che verrà raccontata in questi novanta minuti introspettivi e tipici del Cinema danese e scandinavo: sono i figli di una società benestante, caduti in disgrazia, i veri protagonisti, che essi siano ancora vivi, Mikkel, o che siano morti, Simon. Emblematica sarà l'immagine negli ultimi minuti del film. Moller racconta il dramma di Eva, una madre agente carceraria che si trova, per sua volontà, nello stesso "braccio" di chi, Mikkel, ha ucciso suo figlio in carcere. Donna rigorosa e giusta, si trova a fare i conti con la sua voglia di vendetta e la sua profonda moralità. Ne scaturiscono novanta minuti (evviva!) tesi e rigorosi, introspettivi e violenti, dove accanto a scoppi d'ira improvvisi, alla "voglia di menar le mani", vi sono momenti di compassione e anche, per quello che riguarda Eva, di auto analisi, perché anche lei non è esente da colpe. Il rapporto fra Eva e Mikkel fa da motore al racconto, dove le parole pesano come serrature che scattano, sirene, urla nella notte, manette. Un dramma quasi teatrale e, come già scritto, tipico di quella cinematografia. Duro come un pugno in faccia, anti retorico, livido. Non si butta via niente, in questa ora e mezza: molto bello e con attori magnifici.
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