Regia di Pietro Germi vedi scheda film
Chi conosca la cappa subculturale cattolica del Veneto di quegli anni, siamo nella metà dei '60, vero bacino di voti per la DC e roccaforte dell'orgoglio vaticano, comprende appieno lo sforzo di Germi. La dimostrazione che tutto il mondo è paese, con le logiche del compromesso, dell'ipocrisia, del ripiegamento morale agli interessi economici, che avvicinano il profondo sul delle sedotte ed abbandonate e del divorzio all'italiana, al nord efficientista e presumibilmente moderno. Come tipico del regista i caratteri sono stirati all'eccesso, deformati anche in alcune inquadrature e nel ritmo caotico che sorprende la monastica clausura di un clericalesimo di provincia. Tutto questo rende l'idea di una grande messa in scena che è sì finzione cinematografica, ma anche realistica descrizione delle nostre "caricature" e dei nostri "bozzettismi" quotidiani. La realtà come gioco di ruolo, fatto di smarcamenti fugaci, mai stabili, da marcature strette. Spicca nella narrazione un amore vero e pertanto distrutto dalla forza della menzogna, da quell'assordante circo di maschere cui l'onesto Moschin, smarcatosi ma solo per un attimo, rifugge con un artificioso (poco consolante) isolamento.
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