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Chi lo sa?

Regia di Jacques Rivette vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Chi lo sa?

di sasso67
4 stelle

Scrive Mereghetti (o chi per lui): «il gioco di seduzioni, scambi e bugie ha la geometria del balletto, ma anche la freschezza e l'autenticità della migliore Nouvelle Vague» (Dizionario dei film 2011, p. 673). E dove la vede l'insigne critico l'autenticità (non semplicemente della Nouvelle Vague, ma) della migliore Nouvelle Vague, in questo interminabile polpettone teatral - cinematografico? Forse nella passeggiata sul Lungo Senna di Castellitto con la sua giovane ammiratrice, che fa tanto cinema di papà, o nella suggerita commistione tra vita e finzione - qui incarnata dal teatro - che rimanda addirittura a certo René Clair (mi viene alla mente Il silenzio è d'oro, 1947)?
Il fatto che un regista sia appartenuto ad una scuola deve per forza significare che in qualsiasi suo film si debbano riconoscere i tratti caratteristici di quella scuola, anche a quarant'anni di distanza? Quali sono, per esempio, gli elementi di Nouvelle Vague rintracciabili nell'Ultimo metrò di Truffaut?
A me sembra che siamo piuttosto dalle parti della commedia classica francese ed italiana (Marivaux e Goldoni, per esempio), ibridata con gli interrogativi metafisici di Pirandello, di cui viene portato in scena dalla compagnia del capocomico italiano Ugo il Come tu mi vuoi. All'opposto di Mereghetti (che, con il riferimento alla Nouvelle Vague, secondo me maschera una povertà di argomenti in difesa del film), a me sembra che in Chi lo sa? vi sia una forte presenza di artificiosità, a cominciare dal bilinguismo della messinscena: si parla italiano, in realtà, solo quando è presente Castellitto, ma lui parla solo italiano (altro che «cast perfettamente bilingue» come gioisce Mereghetti), mentre tutti gli altri personaggi parlano italiano - e, Camille a parte, non si capisce perché - per far piacere a lui. Che dire, poi, del fatto che chiunque ha fin troppa facoltà di entrare ovunque, specialmente nei camerini del teatro, delle infinite repliche del dramma pirandelliano, dello scomparire, a bacchetta, del resto della troupe teatrale, delle coincidenze che rendono Parigi un mondo talmente piccolo che il figlio della signora che ospita Ugo è il corteggiatore segreto della nuova compagna dell'ex convivente della prima attrice, nonché amante di Ugo, Camille? E che dire del ridicolo duello finale tra Ugo e Pierre, dell'introduzione del romanzesco anello rubato, dello stratagemma di Camille per recuperarlo e del miracolistico regalo di Sonia?
Per di più, si tratta qui di cinema autoreferenziale, che, al pari degli ultimi film di Woody Allen, finge di parlare della vita e in realtà parla solo di una nicchia di privilegiati, i quali, in un mondo come quello d'oggi, appaiono come dei marziani, figurine che si muovono dentro una campana di vetro, che non sembrano sapere cosa significhi sporcarsi le mani, sudare per un salario e sostanzialmente che, come potrebbe dire Guccini, gente «che ha tanto tempo ed anche il lusso di sprecarlo» (Il pensionato).
Sugli attori si può dire bene o male, a seconda dei gusti: il problema sono proprio i personaggi loro affidati. Castellitto, tutt'altro che bilingue, mi sembra a disagio nel recitare questa figura di attempato e combattuto latin lover, che alla fine si deve accontentare di un ambiguo lieto fine (la sua compagna, al contrario di lui, le corna gliele mette eccome, con il bidonista Arthur), mentre gli altri interpreti sono decenti nei ruoli loro assegnati, che sono alternativamente abusati (il professore di Bonaffé) o di poco spessore (tutti gli altri).
P.S. Per mia erudizione, mi piacerebbe chiedere a Morando Morandini cosa intenda, poiché non lo capisco, quando scrive, a proposito del film, che questa «commedia d'intrigo» è «raccontata da un J. Cassavetes cartesiano come un torrente vorticoso che sfocia e si placa in un lago, sorvegliato da un nume di sorridente saggezza».

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