Regia di Todd Phillips vedi scheda film
Venezia 81. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Era obiettivamente difficile fare meglio di "Joker". Ne erano consapevoli in casa Warner Brothers e ne era conscio lo stesso Todd Phillips quando, dopo varie smentite, è partito il progetto di un secondo film dedicato all'antogonista del pipistrello.
Nonostante le perplessità che lo circondavano, al momento della premiere veneziana, "Joker" osò modificare le tonalità vivaci del maquillage dei cinecomics con una maschera cupa e senza redenzione, diversa da quanto ci avevano abituati i coloratissimi personaggi Marvel e DC.
A suo modo "Joker" fu innovativo e in controtendenza. Elevava il cattivo ad eroe, incupiva i toni del resoconto e umanizzava il villain batmaniano lasciando gli scettici nella posizione imbarazzante di scegliere tra l'euforia e la delusione post esperienziale.
Per il sequel, dunque, Todd Phillips sapeva che non avrebbe potuto emulare il predecessore perché non avrebbe potuto contare sul fattore sorpresa. "Joker" aveva già riso a crepapelle sui cadaveri dei supereroi.
Per il secondo e tanto invocato episodio era d'obbligo, perciò, cambiare trucco onde evitare di imbrattarsi nella cipria della pericolosa e scontata emulazione di se stessi. "Joker: Folie à Deux" ha provato a farlo ricorrendo al musical, genere cinematografico che ha avuto il pregio di esaltare, attraverso le note e le voci dei suoi oscuri personaggi, il sentimentalismo impresso al racconto. Joaquin Phoenix ha interpretato il matto con un timbro roco e lamentoso mostrandone il lato romantico e fragile. Mentre si conoscevano le doti canore di Lady Gaga quanti si sono ricordati quelle di Phoenix? Gli estimatori di "Walk the line" sicuramente sì. Nel film di James Mangold l'attore dimostrò di saperci fare cantando i brani più tormentati di Johnny Cash con vibrante passione, la stessa riposta nel reinterpretare i brani della colonna sonora di "Folie à duex". Bravo, dunque, l'attore nato a Porto Rico ma brava anche la signorina Germanotta che ha adattato la propria voce ai toni dolenti e alle note basse delle canzoni d'antan scelte per raccontare la storia d'amore tra Arthur e Harleen, tra Joker e Harley Quinn.
La scelta del musical è stata un azzardo ma credo che le performance registrate dal vivo, accompagnate dal pianoforte, abbiano ripagato gli spettatori sensibili al fascino delle note e alle voci sgraziate e dolenti della solitudine. Nonostante le musiche di raccordo della compositrice Hildur Guðnadóttir mi siano sembrate meno impressionanti, ma certamente intense ed efficaci nel sostenere la tensione attraverso i toni, ora grevi ora acuti, prodotti degli archi, credo che la trasformazione del "Joker" in un musical possa dirsi riuscita.
Il protagonista ha mantenuto intatta la conflittuale antinomia tra la maschera violenta e grottesca del clown e la tristezza solitaria dell'uomo sconfitto dalla vita. La partitura musicale ha svolto il suo compito preconizzando la tanto temuta trasformazione dell'uomo in maschera e lo scoppio della violenza latente tra i meandri del carcere.
Cos' è mancato, dunque, in questo "Folie à deux" da renderlo un emulo del pagliaccio originale?
Il processo l'ha probabilmente appesantito un po' troppo vanificando l'effetto sorpresa della variante musicale con uno scenario processuale piuttosto lungo e statico che si è vivacizzato allorquando l'aula si è trasformata in palcoscenico e campo di battaglia. Forse è stato questo a rendere meno affascinante il secondo lavoro di Todd Phillips. O forse, più semplicemente, in "Folie à duex" è mancata l'epica rinchiusa nella nascita del mostro, la solenne adozione a vessillo dei disadattati o la grottesca rappresentazione della rinascita al male. C'è l'accuratezza precedente nell'uso delle luci ma manca quel guizzo registico che aveva lasciato cantare al miracolo.
Quali che siano le mancanze non si può esulare dal messaggio convogliato dalla scrittura di Todd Phillips e Scott Silver che, tramite Arthur ed Harley, hanno espresso il loro sconcerto per un paese capace di esaltare e poi affondare chiunque senza meriti e senza demeriti. Ma è apparso tra le righe della storia anche un discorso molto più profondo che ci invita a riflettere su quello che siamo e su come gli altri vorrebbero vederci. Ed intorno a questo ultimo tema i due autori hanno senza dubbio confezionato l'abito da clown più nero e sconfortante che si potesse immaginare. In questo "what if" jokeriano l'infelicità di Arthur Flack sembra spegnersi inesorabilmente. Insinuandosi, forse, tra le ferite dell'uomo, il sollievo una scalinata che non si dovrà più salire e ridiscendere.
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