Regia di Hamish Linklater, Lily Rabe vedi scheda film
“Gli anni ‘80: il momento giusto per essere [restare/rimanere] vivi.”
Hamish Linklater (newyorkese classe 1976 che confondo spesso col neozelandese classe 1974 Jemaine Clement dei Flight of the Conchords: e il fatto che abbiano lavorato assieme in “Legion” non m’aiuta), attore di cinema (the Future, Magic in the Moonlight, the Newsroom, Fargo 3, Monsterland, Midnight Mass, Dead for a Dollar, Gaslit, Angelyne, Manhunt, A Big Bold Beautiful Journey) e teatro, compie un piccolo miracolo condensando le 275 pagine dell’omonimo romanzo di Chuck Klosterman (“Fargo Rock City”, “Sex, Drugs and Cocoa Puffs”, “Killing Yourself to Live”, “Eating the Dinosaur”, “the Visible Man”, “I Wear the Black Hat”, “But What If We're Wrong?”, “Raised in Captivity”, “the Nineties”), pubblicato una quindicina d’anni prima da Scribner (non ne esiste un’edizione italiana, mentre altre opere autobiografiche, non-fiction e saggistiche dello stesso autore hanno già avuto una traduzione nella nostra lingua), nell’ora e mezza lungo la quale con inventiva, intelligenza e gran passo si dipana, dai primi di settembre del 1983 a quelli di gennaio – o, spoiler!, di febbraio? – del 1984, la storia di “DownTown Owl” da lui stesso co-prodotta [curiosità: un decennio prima un’altra coppia, quella composta da Adam (“Severance”) e Naomi Scott, ne aveva opzionato i diritti], co-diretta e (in un piccolo ruolo) co-interpretata con la compagna, nonché grandiosa protagonista, Lily Rabe (purtroppo quasi sequestrata da vari American Horror Story, e poi: Golden Exits, Fractured, the Undoing, the Tender Bar, the Underground Railroad, Shrinking, A Big Bold Beautiful Journey), un’adorabile via di mezzo tra Rhea Seehorn e Betty Gilpin.
Completano il cast un maestoso Ed Harris (the Right Stuff, the Abyss, Absolute Power, Pollock, A History of Violence, Appaloosa, the Way Back, Game Change, Snowpiercer, In Dubious Battle, WestWorld, Mother!, Love Lies Bleeding), Vanessa Hudgens (“Sucker Punch”, “Spring Breakers”, “Machete Kills”), Finn Wittrock (“La La Land”, “the Last Black Man in San Francisco”, “Origin” e qui in un ruolo più “sottilmente” viscido, ma non per forza per le ragioni più banali o evidenti, palesi e manifeste, rispetto a quello da “semplice”, se pur ben strutturato, psicopatico ricoperto nel successivo “Don’t Move”), Henry Golding e i giovani e molto bravi August Blanco Rosenstein (barone rampante suo malgrado), Emma Halleen (“Non si dicono certe cose. Chiedile di uscire, così la gente smetterà di sparlare!”), Jack Dylan Grazer (“It: Chapter One & Two”, “We Are Who We Are”), Arianna Jaffier (“Tutti sanno che sono un genio. Non interessa. Ho già letto Finnegans Wake. Tra cinque anni sarò infermiera professionista.”), Arden Michalec (“George Orwell ha scritto 1984 perché odiava gli ipocriti e perché la libertà si paga!”) e una manciata di bravissimi caratteristi: “After he sees you, after he looks you deep in the eyes, he's gonna turn you around, and bend you over and make you a mommy.”
Fotografia che si destreggia molto bene tra i piani americani e i totali (l’ottimo long take in palestra) degl’interni (ris)cald(at)i e i campi medi e lunghissimi degli esterni climatologicamente/meteorologicamente freddi, tra spalti e bisonti all’orizzonte, di Barton Cortright (“Notes on an Appearance” e “the Cathedral” di Ricky D’Ambrose), montaggio ottimamente in sintonia col tutto della televisiva, qui forse alla sua - se non prima e/o vera allora – più importante prova seria, Nena Erb, splendiderrime musiche originali (e di repertorio) di T Bone Burnett, Patrick Warren e Zachary Dawes supervisionate da Coby Brown, mentre Elvis Costello (con gli Attractions e gli Imposters) domina il juke-box con un intero EP o un mezzo LP (l’altra metà è per Sharon Van Etten, Jimmy Hughes, Peter More, Joe Henry, Jon Byrd, Charley Crockett, Adia Victoria, Sierra Ferrell, Margo Price).
Le carine animazioni del tour del ridente paesello di Owl sono realizzate da Casie & Kenzie Moss.
Il Minnesota d’aprile interpreta l’autunno-inverno del finitimo North Dakota.
“Un tempo pensavo che la vita mi riservasse qualcos'altro. Qualcosa… non so… di più. Per mia madre era irrequietezza. Una maledizione che avevo ereditato. Diceva che un giorno mi sarei ritrovata a scappare. Trovato ciò che cercavo, diceva, sarei finita in ginocchio.”
* * * * (¼) – 8.25
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