Regia di Coralie Fargeat vedi scheda film
Per raggiungere l'apice e mantenersi a tale livello, bisogna essere disposti sprofondare. Elisabeth Sparkle (Demi Moore), ex-attrice di successo, nonché testimonial di bellezza, si è riciclata da anni come conduttrice di una trasmissione di aerobica, prima di essere licenziata per aver toccato la soglia dei cinquant'anni.
Il fisico è ancora asciutto, così come il corpo tonico e vigoroso, ma ovviamente mostra i segni dell'età, nonostante il costante allenamento e le diete rigide. È una Elisabeth come la Norma Desmond (Gloria Wanson) di "Viale del Tramonto" (1950), vive di fama dei gloriosi tempi che furono, incapace di accettare il presente. Come disse Joe Gillis (William Holden), non ci sarebbe nulla di male ad avere cinquant'anni, se non se ne vogliono a tutti i costi. Ma nell'industria dell'intrattenimento, l'estetica la fa da padrona, ma non in modo paritario.
Agli uomini tipo Harvey (Dennis Quaid) è concesso invecchiare, quanto mantenere al contempo il potere e imporre viscidamente i canoni della bellezza. Alle donne tutto ciò viene negato, in un'assoluta pretesa di eterna giovinezza.
Coralie Fargeant, scrive e dirige, un'opera intrisa di una forte satira nera, che si fonde e confonde con il body horror. "The Substance" (2023) è una pellicola pienamente post-moderna, capace di miscelare riferimenti al cinema "iper-autoriale" (Cronenberg, Kubrick e Lynch) con quello più di "genere" (Yuzna, Gordon, Zemeckis, Verhoeven e financo Munro), trattando di tematiche univerasali, pur sfuggendo alla contemporaneità dei riferimenti e della costruzione della messa in scena.
Gli anni 80' vengono ripresi, prima di tutto come causa prima dell'ossessione per l'estetica, sulla "sostanza". Cellulari e social network, risultano del tutto assenti come modalità di comunicazione. La pubblicità tramite i cartelloni e la TV come fonte principale d’intrattenimento, riflettono dinamiche di 40 anni orsono, più che la società liquida odierna.
Non deve sfuggire, come lo stesso programma di ginnastica condotto da Elisabeth e poi dalla sua "versione perfettà di sè" Sue (Margarette Qualley), faccia il verso al famosissimo "fitness con Jane Fonda". Che poi il pubblico si interessi ben poco l'allenamento, quanto alle sole forme sfrontatamente esibite di Sue - pompate dalle sonorità spinte di "Pump It Up" -, giova agli ascolti della trasmissione e alla felicità dei produttori dello show (tutti rigorosamente maschi).
La macchina da presa, si sofferma continuamente sui glutei scolpiti, le gambe slanciate ed i seni tonici della sua protagonista.
Un regista uomo, sarebbe stato accusato pesantemente di "male's gaze" (sguardo maschile), ma essendoci una donna in regia, questa continua esibizione di "carne sensuale" e "forme perfette", diventa atto "politico" nei confronti di un sistema industriale, che sfrutta la bellezza come strumento di penetrazione tra le masse. Ma è un'estetica artificiosa. Nauseabonda. Plasticosa. Il sudore di cui risulta ricoperta Sue, non puzza e non sporca. Serve solo a far risaltare di più il fisico bombastico della donna.
Niente di nuovo sotto il sole. Si deve comunque riconoscere a Fargeant una forte carica rabbiosa nelle immagini, capaci di riscattare una sceneggiatura molto urlata nel suo voler essere sempre prevedibile, diretta e chiara - quanto lo stesso manuale delle istruzioni su come adoperare la "Sostanza" -, cedendo qua e là ad una certa grossolanità nelle scene di raccordo. Alto e basso dialogano in continuazione. La perfezione algida dei luoghi in cui si muove Elisabeth/Sue, richiede l'accettazione di affondare nella sporcizia, per non finire calpestati da un'industria, che sforna nuovi corpi in continuazione, scaricandoli quando non più utili al profitto del capitale. Se si vuole essere eternamente belli, si deve sprofondare nel lurido dei rifiuti.
Solo in questo modo sembra possibile uscirne sempre immacolati.
Questo conflitto tra "Soma" (Corpo) e "Psyche" (Anima), non viene messo in scena in modo dualistico, ma monistico. La matrice originale (Elisabeth) e la propria copia perfetta (Sue), sono la medesima persona. Il prodotto adoperato, consente di far emergere nuova "sostanza", - che secondo la definizione aristotelica "è ciò che presuppone tutto" -, dalla materia del sostrato ricoprente, ovvero "la forma della sostanza".
La sostanza ha tra i suoi attributi l'essere permanente ad ogni mutazione e soprattutto rendere possibile l'esistenza della cosa. La copia non sussiste senza l'originale, di cui rimane un banale duplicato, non avendo una propria "psyche". Questo insano conflitto, conduce ad una riedizione odierna di "Eva contro Eva" di Joseph L. Mankiewicz (1950), il cui cartellone gigantesco di Sue, bene in vista sulla finestra dell'appartamento di Elisabeth, ricorda l'eterno conflitto generazionale tra nuovo e vecchio.
"The Substance" satirizza sull'uso spropositato della chirurgia estetica, ma soprattutto mostra gli effetti dell'alienazione dovuta allo spegnersi delle luci della ribalta, il non riconoscersi più in un corpo invecchiato arrivando a logorarsi ossessivamente quanto infine l'effimero dietro un'esistenza basata sulla fama e vanagloria, presto destinate a svanire. La regia carica all'eccesso le immagini deformanti dei volti, in grottesche forme capaci di comunicare una mostruosità insita già in partenza. Ben si lega lo stile debordante, alla materia trattata, dati i canoni di bellezza assurdamente elevati, perfezione estrema ed apparenza visiva - vedasi il vistoso cappotto giallo sempre indossato da Elisabeth - sopra la sostanza. Concetti inculcati sin dalla più tenera età (la bambina tutta agghindata allo show di Capodanno tra vestito costoso e gioielli), che portano all'esasperazione l'essere umano femminile, in quanto il maschile non viene contemplato da Fargeant. Gli uomini sono superficialmente ritratti come caricature negative del potere (Harvey), della sessualità (il vicino palesemente incel) o dell'ansia (il vecchio compagno di scuola), quando molti di loro sono i primi a soffrire dei medesimi canoni di bellezza. La regista, pur essendo diretta nelle tematiche, risulta un po’ ondivaga sulla ricerca delle cause prime, oscillando tra la colpa del maschio e la subordinazione femminile alle richieste dell'industria produttiva, finendo con il trovare il colpevole principale, in un sistema che impone a tutti una cristallizzazione di perfezione eterna.
Il finale diventa quindi un sentito "vaffanculo" ad un pubblico, che si aspettava una "figa spaziale" emergere dall'oscurità ed invece viene sommerso da tutto il lurido, lo sporco e lo schifo nauseabondo dell'industria, grazie al film più autenticamente femminista degli ultimi anni.
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