Regia di William Friedkin vedi scheda film
La natura di quest'opera è in bilico tra una componente quasi autoriale, legata al tocco e all'indubbia sapienza del regista, e una spettacolare, rinvenibile là dove, smarrendo in più di un caso il senso della misura per gli effetti orrorifici, si da ampio spazio alle convenzioni del genere. Convenzioni che nonostante tutto sono spesso concretizzate da invenzioni efficaci e a tratti sorprendenti (le scale scese a ragno) ma che a volte sono di infimo livello e alla lunga finiscono col sottomettere la sceneggiatura, disperdendo l'inquietante ambiguità, la crescente tensione che permeava tutta la prima parte del film. Tuttavia, fino alle ultime battute l'opera riesce a mantenere una certa drammaticità, merito soprattutto delle ottime interpretazioni di Max von Sidow e Jason Miller su tutti, ma anche della piccola Linda Blair. Tutti e tre hanno nel volto la sofferenza sotto forme diverse (il peso della stanchezza e della sapienza, della solitudine e dell'innocenza violata), ma con un tratto che li accomuna: il silenzio, l'impotenza d'inanzi all'arcano, l'impossibilità di comprendere e condividere le angoscie e il dolore. Ben al di là dell'apparente lieto fine, la conclusione lascia un forte senso d'amarezza, di sospensione, la senszione che la storia raccontata non abbia certo un termine, ma origini remote e ignote (ottimo l'incipit ambientato nell'arso e oscuro Iraq) ed esiti inconoscibili, anche al di là del film. Il demone viene dalla notte dei tempi, appare nelle famose incursioni subliminali come lampante vertigine, latenza onirica che affiora da chissà quale abisso, incombente presenza nel reale...sconvolge la madre e le certezze del suo mondo borghese, ma non riesce a piegare la saldezza del giovane Karras, figura chiave del film. Il Male, emergendo nell'anelito sovrannaturale che permea la storia, rimane per più di un'ora assenza-presenza, illusione e certezza, ombra e manifestazione (la suspense viene creata anche con minimi dettagli, e in proposito si noti, in secondo piano, la cornice con la foto di Regan al minuto 22.07, mentre pare fissare davvero la madre e lo spettatore, sembra di vedere già quell'espressione impersonale, quasi diabolica che avrà dopo), come fonte di quella tensione sopra citata e presente nell'atmosfera inquietante che avvolge l'aridità orientale di Ninive, la casa della bambina, gli uomini di Chiesa, le statue e i vicoli della cittadina. Poi si concede allo spettacolo, e non si sa più se prendere sul serio molti momenti del racconto rimanente.
Forse, nel suo genere, un capolavoro mancato.
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