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Senza fine

Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film

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La recensione su Senza fine

di vicky13
10 stelle

Senza fine (Bez Konca) è il legame interminabile fra colui che rimane e colui che diparte.
E’ un angelo: veglia sulle nostre vite Non ci lascia e noi non lo lasciamo andare. Ci parla e noi lo rivediamo; per romanticismo, nella tenerezza di in un animale, o per sbaglio nelle fattezze di qualcun altro.
L’elaborazione non risolta di un lutto privato vissuto da Ursula (una bellissima Grazyna Szapolowska, che rivedremo in Non Desiderare la Donna d’Altri e Decalogo 6),  dopo l’improvvisa perdita del marito Antek (Jerzy Radziwilowicz), Antony Zyro, un avvocato dedito alla difesa degli affiliati di Solidarnoc, si fonde con la  tragedia personale , di Joanna Stach  (Maria Pakulnis , che rivedremo in Decalogo 3) il cui marito Darek (Arthur Barcis che rivedremo in Non Desiderare la donna d’Altri ed  tutto il Decalogo) si trova in carcere  sotto legge marziale per aver aderito ad uno sciopero illegale .
Il dramma individuale dell’assurdità della morte  si fonde con  il dramma sociale della Polonia Sovietica del 1981, di un popolo a cui è stata privata la libertà, una Libertà che nemmeno la Giustizia, che dovrebbe farsi garante della Verità, in tale stato può difendere.
Non a caso Ursula lavorava alla traduzione di 1984 di George Orwell.
Non a caso Antek adorava Albert Camus,  scrittore  avverso ad ogni forma di totalitarismo, autore di ”Lo Straniero” e di “La Peste”, dove l’individualismo del primo romanzo lascia posto al principio della Solidarietà del secondo e solo con esso, colma il vuoto del non senso dell’esistenza.
Lealtà e fiducia era ciò che cercava Anteck nella sua difesa , in un'unica parola chiarezza, verità . Una verità da cercare dentro noi stessi ed una  verità che la giustizia dovrebbe incarnare, quando invece ladri, assassini, contrabbandieri, vengono assolti .
L’anziano avvocato (Aleksander Bardini , che ritroveremo in Film Bianco, in La Doppia Vita di Veronica, in Decalogo 2 e in Decalogo 4) di nome  Labrador (il nome di una razza canina, come il cane nero che sempre ricorre nel film , quasi la reincarnazione di Antek) lo sa bene, per questo accetta, come ultimo incarico per la sua carriera,  di preservare dalla prigione un innocente,  ma secondo il metodo che ha sempre fatto; assecondando  il potere e cercando il compromesso, il contrario di ciò che vuole essere l’idea  e l’azione di uomo libero.
“Labrador mi ha detto che Antek nel profondo era un uomo libero. Lo era davvero? Si, tutti avrebbero voluto esserlo ma lui lo era più di noi”.
 Forse perché proprio cercava quella chiarezza e quella verità nella Legge, che tutti gli avvocati  , per raggiungere i propri fini eludono . Delle tre soluzioni elaborate da tre diversi avvocati solo quella di Antek  cerca la chiarezza. Ma fare appello alla coscienza ed al cuore delle persone, in ambito giudiziario, significa estrazione del reale , puro lirismo.
Zyro era un idealista estraniato dal reale ed un individualista calato nel sociale.Alle altre due  linee difensive , invece, poco importano i veri pensieri dell’imputato, i quali devono essere necessariamente sacrificati per un bene più grande: o  il bene della famiglia e  quindi la scelta del compromesso; il pragmatismo di Labrador, oppure il bene dell’umanità  e quindi la scelta coraggiosa dell’eroe ; l’idealismo di  Mietek (Michal Bajor).
 La stessa mentalità di quei regimi che sacrificano la volontà individuale al bene comune .  
Tre diverse linee difensive per il caso di un operaio accusato di aver organizzato uno sciopero illegale, così come in Destino Cieco vi sono tre alternative.
Nel film idealismo e pragmatismo sempre si scontrano . Si scontrano  nella musica clandestina ascoltata dal figlio , ma da cui  la madre, pur approvando, dice di stare alla larga, come pure dice di stare alla larga dalle bombolette a  gas lacrimogeni e da Piazza della Costituzione. Si scontrano in Darek, che fra le due possibilità di difesa, sceglie di vivere ed interrompe lo sciopero della fame. Si scontrano in  Tomek, che fugge dalla Polonia in Canada
Ma “chi  ha deciso di vivere, molto deve imparare a sopportare”(Labrador) ed ognuno deve trovare la propria via da solo .
Così  l’avvocato anziano Labrador, dopo aver vinto  l’ultimo processo della sua vita, dice ( forse appunti del defunto Antek)
“E non so neanche come è successo che mi son trasformato da lupo a cane rognoso. Forse il mio muso ha perso il tocco oscuro del vento, i miei occhi non guardano più il cielo. il riflesso della paura e non la fiamma, ha danzato sulla mia schiena. Forse nessuno aveva bisogno di mettermi questo collare ed io ho zampettato gentile come un cane riservato. Signore, tu che ami anche chi striscia per terra e che riesci ad essere orgoglioso del sangue di un verme aiutami ad aprire questa gola di implorante silenzio E dimmi di camminare libero anche se piango.”
Aver salvato l’imputato dalla prigione o dalla morte …è stata più una sconfitta, finita nel pianto, che una vittoria. L’unico a gioirne il padre di Joanna Stach (Jan Tesarz, che ritroveremo in Decalogo 5) L’assoluzione di  Darek è  stato un compromesso falso e pragmatico, per non morire, o perché sacrificarsi, gettandosi da una finestra con le sbarre sarebbe stato inutile. Tutto ciò che si poteva fare nel dissenso era sopravvivere per la paura di morire e fingere di  aderire al “bi-pensiero”,” un pensiero che esige che la mente si adatti senza resistenze alla versione della realtà così come definita dal partito e cancelli ogni dato divergente ed ogni forma di obiezione.” Chinare il capo ed  uscirne  vivi, in un momento forse che occorrevano dei gesti estremi per affermare un idea , un cambiamento. Una ingiusta condanna da parte del potere giuridico sarebbe stata come una miccia, per infiammare di coraggio una nazione affranta,  nel fuoco di  una insurrezione . Quello che non è avvenuto. Gli argini sono stati arenati e l’insurrezione è morta nel silenzio implorante di chi continua a chinare il capo, non per umiltà , ma per necessità, il capo di una nazione prostrata dalla sofferenza.
 Ma il regista forse ci vuole suggerire un'altra soluzione, cioè quella scetticista, ossia che non vale la pena di morire per un ideale.
In un regime totalitario “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” (“1984”).
 Nella solitudine dell’esistenza , nell’ineluttabilità del destino, nel soccombere degli ideali , dopo aver constatato che nemmeno colui che aveva combattuto per essi  aveva la libertà per poterli sostenere, l’unica soluzione possibile per Ursula  rimane la fuga e la ricongiunzione a colui che aveva perso ed amato.
Senza fine è uno dei film più lugubri di Kieslowski perché appunto non ci sarà mai un elaborazione di un lutto , non ci sarà mai una rassegnazione, una giustificazione , né alla morte, né ad un regime che annienta le coscienze, solo una misera sottomissione, come quella di una cane, col collare, gentile e riservato più per paura che per volontà propria.
Colui che cerca di elaborare il lutto è il figlio Jacek; lo fa aderendo agli stessi ideali del padre, ricercando il nonno al cimitero, dove scopre che oltre al suo lutto personale, ne esiste un altro, più grande, quello vissuto da una  nazione intera, lo fa, allacciando un legame , mai esistito, con la nonna paterna (Elzbieta Kirlaska, la rivedremo in Decalogo 1 ed in Decalogo 4) per questo, il lungo commiato “Non dirmi ciao, ma arrivederci, perché starò lontano a lungo” dalla madre .
I colori che avvolgono le scene dove si muovono Ursula e Darek , sono  come dei quadri, che, accordandosi con le tonalità fredde del grigio-verde-viola, rappresentano gli stati d’animo dei protagonisti, i quali, chiusi nella solitudine di un dolore personale non riescono a sentire altro. Ancora una volta è  la rappresentazione della realtà esterna, ad  esprimere i moti dello spirito.
 Il film da spazio al dialogo , come punto di forza della narrazione, ma un dialogo  fatto di parole che rimbalzano  da una solitudine all’altra , sorde di una effettiva comunione ed empatia con l’altro ,  attanagliate nel loro individualismo e nelle loro personali ragioni. Lo esprime molto bene Ursula mentre parla in polacco all’americano (Daniell Webb) che non può capire e che non capirebbe nemmeno, come ben dice lei, nemmeno  se parlassero la stessa lingua. Lo dice Tomek, prima di abbandonare la Polonia “La mano tesa verso qualcuno, la chiarezza, la semplicità ; non c’è più niente di tutto questo. Le persone si sono chiuse isolate. Il male ed il bene si confondono. Ho provato da solo, ma siamo troppo solitari.”  Così i dialoghi sono parole che rimbalzano da una solitudine all’altra:  la madre col figlio Jacek (Krysztof Kreminski), l’amico di Antek, Tomek (Marek Kondrat) con Ursula ,  Marta Duraj, amica di Antek (Marzena Trybala , già vista in Destino Cieco, la rivedremo in Film Bianco) con Ursula, l’ipnotizzatore (Tadeus Bradecki, già visto ne Il Cineamatore) con Ursula, gli avvocati l’uno con l’altro, gli avvocati  con l’imputato, il cui attore è Arthur Barcis,  lo “spettatore silenzioso ”di tutto il Decalogo, diventa in un certo modo spettatore anche qui delle decisioni convulse ed incoerenti di un falso sistema giudiziario. Spettatore  silenzioso, come lo stesso regista, che sia in Senza Fine , sia in tutti i suoi film, non impartisce insegnamenti, ma "si limita a raccontare i fatti dall’esterno, dall’ottica di uno spettatore attento che però non si pronuncia a favore di nessuna delle parti, perlomeno, non espressamente."
Da notare che, come nel Decalogo 5, così in Bez Konca lo svolgimento del  processo non viene mostrato per scelta , perché come sostiene Krzyszof Piesiewicz , avvocato, oltre che sceneggiatore,  “non esistono al cinema rappresentazioni attendibili dell’ aula di un tribunale, in cui tutti: testimoni, periti, difensori, giudici, interpretano tutti una parte, persino l’imputato in aula non è autentico.”
Il film è un profondo “attacco  alla Giustizia ed alla Repubblica Popolare Polacca dei primi anni ‘80 e come tale fu inviso a tutti, scomodo a 360 gradi . La Libertà , concetto base di tutti i film di Kieslowski permea l’ azione di tutti i personaggi esenti da ogni schematismo . Forse fu questo aspetto ad indispettire il governo , opposizione e chiesa;  grande fratello uno e trino della Polonia di allora. Per questo  vide la distribuzione all’estero solo nel 1989 sull’onda del decalogo.”
Bez Konca  (1984) è il terzo lungometraggio di Kieslowski, dopo Cineamatore (1979) e Destino Cieco(1981) ed il primo scritto insieme a Krzysztof Piesiewicz, "destinato a diventare il suo sceneggiatore di fiducia nonché vero proprio co-autore di tutti i suoi film successivi. Il film segna anche l’inizio di un'altra collaborazione preziosa quella con il compositore Zbigniew Preisner , che firma la colonna sonora ossessiva" ed efficace, che ricorda in quanto a ripetitività ossessiva ed al tema dell’elaborazione del  lutto  Film Blu, dove però  la durezza ossessiva nel primo, lascia posto ad una dolcezza melanconica, nel secondo.
In Senza Fine , film forse  ingiustamente sottovalutato, ci sono già tutte racchiuse le tematiche dei film successivi del grande regista : ( il quale  prima di dirigere film, è stato autore di numerosi documentari per il cinema e per la televisione ) la casualità dell’esistenza, la necessità del destino, la morale laica, la giustizia, la libertà , la distanza della macchina da presa , che sembra proporzionale alla temperatura emotiva che le varie situazioni esprimono, la rappresentazione della scarna , nuda realtà oggettiva della quotidianità , che amplifica la percezione dei fatti ed il loro significato profondo ed intrinseco, facendoci partecipi degli stati d’animo dei protagonisti,  gli oggetti quotidiani, che assurgendosi  a simboli del reale, si rivestono di  significati .
Vedi l’orologio di Labrador, regalo di Antek,  che si rompe . Oppure  il vetro , il vetro inteso “come una protezione, perché l’uomo molto spesso sta come dietro un vetro.”(Kieslowski) Un vetro del bicchiere, un bicchiere di caffè, un bicchiere di tè, un bicchiere di latte, di vodka. Poi quando questa protezione cade , il bicchiere, il vetro,  si infrange , rompendosi, e questa casuale  rottura esalta il dolore in tutta la sua nuda  verità. Vedi  nelle ultime scene: Ursula stringe un bicchiere vuoto dall’ipnotizzatore, nella scena successiva , la musica suonata al pianoforte dal figlio, le causa dolore e lascia cadere il bicchiere pieno di tè. L’elemento  surreale dell’apparizione del fantasma di Antek ai protagonisti ed allo spettatore, quando apre il film parlandoci in prima persona , rafforza ancor più la morte come un dato crudamente reale e fortemente calato nell’esistenza dei protagonisti, di chi vuole vivere la vita morendo dentro e di chi non accetta una morte interiore e  morendo vive.
Il film non è stato doppiato in italiano e questo è andato a notevole vantaggio della sua percezione
Infine Kieslowski,  come nessun altro sa comunicare  le idee calandole nei panni della tragedia.
Terminando con le  parole di Serafino Murri in Bez Konca la morte “diventa l’espressione concreta di ciò che è senza fine, e del fermarsi del tempo nell’eternità affettiva della memoria.”
 
 
 
 
 

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