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Iris - Un amore vero

Regia di Richard Eyre vedi scheda film

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La recensione su Iris - Un amore vero

di Aquilant
8 stelle

La luce va spegnendosi con spietata gradualità nella mente di Iris. L’irreversibile parabola ascendente della malattia é descritta con tocchi spediti ed al tempo stesso estremamente realistici, caratterizzati da una robusta dose di dinamismo e privi del pur minimo cedimento nel versante del ricattatorio.
Ma a proposito di questa toccante visione di graduale scoperta dell’amore e della sua traslazione diegetica nel tempo e nello spazio è da rimarcare principalmente il perfetto incastro del presente con il passato a garanzia di un’ideale continuità d’azione tramite il ricorso ad un’efficace serie di montaggi alternati che danno vita ad un continuo processo di sovrapposizione delle due identità femminili, sorprendentemente affini fra loro, fornendo all’opera un palese senso di immediatezza ed una leggibilità di rara potenza espressiva. Di notevole efficacia sono da considerare in particolare le riprese che pongono in dolorosa evidenza il tragico itinerario di passione in direzione di uno spegnimento mentale descritto con inesorabile progressione e non privo di un evidente sentimento di compassione fraterna. Richard Eyre, il regista, affianca alla caducità della vita l’inafferrabilità stessa della felicità, mescolando le ondate di disperazione del presente con atmosfere di serena spensieratezza ed atteggiamenti di disinvolta trasgressione di pertinenza di un passato pressoché dissolto nel tempo. E a dispetto di un eccesso di didascalismo e di una non perfetta messa a punto di qualche ingranaggio più propriamente tecnico relativo al racconto, riesce ad aggirare d’un balzo ogni ostacolo possibile ed immaginabile attribuibile alle ricostruzioni biografiche, offrendoci in un montaggio che sfiora la perfezione assoluta una descrizione viva e palpitante del suo personaggio, assecondato con amorevole cura nel calibrato dosaggio dei ripetuti salti temporali, sempre visceralmente presente sulla scena sia come fluttuante sirena sorpresa a nuotare in libertà all’interno di un involucro liquido liberatorio sia come matura presenza consapevole posta al cospetto di una sorta di nemesi distruttiva arbitrariamente indotta.
E’ degna di nota una Kate Winslet amabile e scanzonata, presenza scenica a suo modo candida e disinibita, ricolma di franchezza e tutt’altro che restia ad offrirsi anima e corpo con estrema disponibilità alla vista spettatoriale, palesando ancora una volta le sue eccelse predisposizioni artistiche e la sua innata capacità di adeguamento ai più disparati ruoli cinematografici. Dotata di raggiante luminosità e di un evidente talento naturale, Kate si muove con fare brioso e spregiudicato al tempo stesso, riempiendo lo schermo intero della sua freschezza e delle sue prorompenti forme, generosamente esibite senza velo alcuno in più d’una occasione, entrando in sintonia immediata con Judi Dench, la sua validissima alter ego del futuro. Nonostante la condizionante stringatezza delle sequenze che la vedono in azione, riesce sempre ad effondere sentimenti di immacolato candore sulla scena, fornendo un quadro idealizzato d’una radiosa giovinezza in fieri (che nella contemplazione del suo viso giammai “si fugge tuttavia”) e d’una “laetitia vivendi” in perpetua antitesi con la parabola discendente dell’attempata Iris assurta a personificazione del declino fisico e mentale individuale, che si accinge con insolita condiscendenza a contemplare de visu l’arcano mistero della morte.





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