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Kinski - Il mio nemico più caro

Regia di Werner Herzog vedi scheda film

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La recensione su Kinski - Il mio nemico più caro

di cheftony
7 stelle

“Perché lavorate insieme?”
“Perché è matto! E lo sono anch’io, ecco perché.”

 

Werner Herzog ricorda Klaus Kinski. Lo fa nel 1999, a otto anni di distanza dall’attacco cardiaco che uccise improvvisamente l’attore tedesco nativo di Sopot, in Polonia. Kinski non ha lasciato dietro di sé un gran ricordo: giusto un’autobiografia dai più additata come fantasiosa, una miriade di film di scarso valore, una fama di collerico, megalomane e psicopatico, un rapporto a dir poco gelido con i figli (solo il figlio maschio Nikolai partecipò al funerale, mentre molti anni dopo, nel 2013, Pola e Nastassja hanno parlato degli abusi inflitti loro dal padre).
E se della persona sembra ci fosse solo del male da dire, anche professionalmente venne ricordato perlopiù come un caratterista di contorno o come un attore di horror di serie B, che doveva la sua fama ai cinque film girati con Werner Herzog. Alla sua morte, il New York Times scriveva di lui: “an actor acclaimed for playing obsessive, demented characters in the films of the German director Werner Herzog”. Sintesi dura, ma non lontana dal vero.

 

“Odiava tutti, era impulsivo, imprevedibile, mezzo matto. Non era del tutto normale. Era aggressivo. Aveva un carattere diabolico. Andava sempre in giro armato.”

 

Herzog torna sul luogo del crimine, nei dintorni del Machu Picchu, dove diresse Kinski in due dei suoi lavori più magniloquenti, “Aguirre furore di Dio” e “Fitzcarraldo”. In seduta solitaria di fronte a scenari di immutata bellezza, il regista bavarese racconta aneddoti e vicissitudini, espone con classe il suo turbolento rapporto con Kinski, svela scene inedite di importanza storica: d’obbligo citare la furiosa lite fra Kinski e il direttore della produzione (bersaglio di numerosi insulti) durante una pausa delle riprese di “Fitzcarraldo” e una parte di girato del medesimo film quando del cast era previsto facessero parte Jason Robards e Mick Jagger.
Ma Herzog in realtà parte da lontano, dai suoi tredici anni, dall’abitazione dove per la prima volta si imbatté nel vicino di casa Klaus Kinski, al tempo giovane attore autodidatta con vezzi peculiari e distruttivi. “Mein liebster Fiend – Klaus Kinski” non si prepone l’impresa di scindere l’uomo dall’attore: in entrambi i casi, parliamo di una figura appassionata e viva, squilibrata e imprevedibile. Una figura egomaniaca che ha fatto la differenza per dare vita ai protagonisti di alcuni grandi film, con i suoi occhi infossati e allucinati, valorizzati da Herzog come nessuno ha mai saputo fare.

 

locandina

Kinski - Il mio nemico più caro (1999): locandina

 

“Tra noi c’era una strana intesa, che si estendeva anche alle sue sfuriate. A volte capiva, per un’intuizione vaga e fuggevole, che c’era bisogno di una sua sfuriata. Allora spesso lo provocavo con un commento sprezzante per farlo andare su tutte le furie. Sapevo che avrebbe urlato per un’ora e mezzo, con la schiuma alla bocca finché non si fosse sfogato. Era in quei momenti che esplodeva la follia di Aguirre!”

 

Herzog trova comunque modo e tempo di dedicare pensieri affettuosi e comprensivi al folle sodale, di cui in qualche modo sfruttava la luciferina verve. Lo fa anche per bocca di altri e in particolar modo di due attrici che vi hanno lavorato a fianco, ovvero Eva Mattes e Claudia Cardinale, le cui brevi apparizioni apportano connotati di dolcezza ad una figura altrimenti arcigna. Oltre ai due film summenzionati, un po’ di spazio è riservato all’allucinato “Woyzeck”, mentre latitano scene e aneddoti riguardanti “Nosferatu, il principe della notte” e “Cobra verde” (ultimo frutto e peggior risultato del sodalizio anche secondo lo stesso Herzog, a causa della delirante deriva personale di Kinski).
“Mein liebster Fiend – Klaus Kinski” è un documentario fra i più tradizionali di Herzog, che comunque non rinuncia ad una narrazione personale, parossistica e sentita. Film rivolto quasi esclusivamente agli appassionati del regista e del suo feticcio, da vedere per ammirare l’abilità di Herzog nel fornire barlumi di delicata umanità a due storie professionali e di vita fuori dagli schemi ed intrecciatesi proficuamente contro ogni previsione.

 

“Eppure eravamo inseparabili, pronti ad affondare insieme. Ci rivedo nella giungla, insieme su una barca. Il mondo è nostro, ma sembra che Klaus voglia volare via. Non avrei dovuto accorgermi che era la sua anima a volersi librare in volo? E poi lo vedo con una farfalla soave, leggerissima. La piccola creatura non vuole lasciarlo, è così a suo agio che mi sembra sia Klaus stesso a trasformarsi in una farfalla. E tutto ciò che tra noi pesava scompare. Tutto diventa bello. E anche se la mia ragione si ribella, qualcosa dentro di me dice che vorrei ricordarlo così.”

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