Regia di Ron Howard vedi scheda film
La storia di John Nash avrebbe potuto fornire interessanti appigli narrativi: il rapporto fra scienza e politica, l'evoluzione dei modelli economici, l'oppressività del sistema universitario, la schizofrenia come tomba sociale ed incubo della ragione. Ma dato che stiamo parlando di un film di Ron Howard (ed in generale di un biopic americano) la decisione presa è quella di passare l'intonaco sugli aspetti controversi e dirigere col pilota automatico. Il disturbo di Nash viene ridotto a qualche allucinazione poco verosimile (resa troppo realistica per l'esigenza di dover infilare il colpo di scena ad ogni costo) da cui è stata eradicata anche l'ombra dell'esaltazione politica che invece affliggeva il personaggio nella realtà (per inciso: ovviamente non è necessario riportare i fatti al cento per cento, ma un conto è fare un'omissione per precise ragioni artistiche, altra cosa è farla perché sennò non si portano a casa gli oscar). I suoi rapporti lavorativi col governo sono ridotti a qualche frame che sembra far parte di un "nelle puntate precedenti" di una serie televisiva mai vista. I conflitti familiari sono risolti con un paio di scenate isteriche della moglie e con la decisione di smettere coi farmaci (e notare che tale decisione sembra quasi non provocare alcun tipo di ricaduta se non l'involontariamente comica apparizione di quei soliti tre personaggi... vabbè...). E le ragioni della fama di Nash (le teorie economiche, la carriera da matematico, il Nobel) sono lasciate in quarto piano e trattate in modo fumoso, vago, come se fossero una parte insignificante della vita del protagonista. Poi Crowe fa un bel lavoro, ma il film resta davvero indigesto.
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