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The Believer

Regia di Henry Bean vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Believer

di giammaz
6 stelle

Non mi ha convinto, nonostante le positive aspettative. La figura del protagonista rimane inspiegata (anzi spiegata in modo contradditorio) e la rappresentazione del neonazismo statunitense inclina al macchiettismo. Il tema tragico dell'ebreo che odia se stesso poteva dar vita ad una messa in scena ben più consistente.

Francamente non mi ha convinto.

Il tema era decisamente uno di quelli che mi attirava; sia il riferimento fatto da molti a American History X (che aveva ben altro spessore), sia quello allecontraddizioni dell'essere ebreo (l'ebreo che odia se stesso) mi hanno anticipato aspettative in gran parte deluse.

Il neo nazismo americano: qui i suoi accoliti sembrano un po' delle macchiette. Da un lato i "politici" arrivisti che pensano solo a trovare finanziatori facendo leva su pregiudizi diffusi e sfruttando il malcapitato Danny e la sua colta oratoria per i loro fini, ma pronti a liberarsene quando le sue contraddizioni di ebreo vengono alla luce. Dall’altro il gruppo di giovinastri naziskin che sembrano più delle caricature, tanti muscoli e poco cervello per cui subito affascinati dalla parlantina del colto (e muscoloso) ebreo. Anche la ragazza nazista, Carla, appare poco credibile nel suo appassionarsi allo studio dell’ebraico e della Torah. Mi sembra la confusione (non so quanto voluta) fra la “banalità del male” e una rappresentazione della “stupidità del male”.

E soprattutto la figura di lui, Daniel Balint, il neonazista ebreo: un personaggio assolutamente non convincente e non spiegato (anzi spiegato in modo frammentario e contradditorio). Non basta dire che è una “contraddizione vivente, i cenni del perché del suo furore antiebraico lasciano il tempo che trovano. Da un lato nei flash back vi è il ritorno alla ribellione infantile contro il rigido insegnamento religioso che sembra esser diventata una ribellione contro dio (alla concezione ebraica di dio, il dio che ordina ad Abramo di sacrificare Isacco; il dio che può annichilire in ogni momento chi non rispetta i suoi comandamenti; il dio che non è nulla al di là della sua parola); nei suoi discorsi quello che viene espresso è però il tema razziale, della concezione della razza ebraica come razza impura, intermedia fra quella superiore (bianca) e quella inferiore (nera). Anche i riferimenti alla ossessione sessuale degli ebrei più accennata che esplicitatalascia un po’ il tempo che trova. In sostanza il passaggio dallo studio ossessivo della Torah di cui rimane fermamente "credente" (the believer) a banali concezioni razziste neonaziste rimane misterioso. Altra immagine che ricorre nell’immaginario del protagonista è quella dell’ebreo sopravvissuto alla shoah che rimane impotente davanti all’uccisione del figlio e all’implicito disprezzo per quella impotenza, quella remissione davanti allo sterminio. Avrebbe potuto quel disprezzo spiegare, fondare un percorso in direzione del nazionalismo ebraico, non quello verso il nazismo.

In sintesi una figura poco credibile (a parte l’ottima interpretazione di Ryan Gosling, meritevole proprio perché riesce a dar fisicità a un personaggio mal disegnato dalla sceneggiatura) che probabilmente ha risentito del voler far per forza riferimento alla controversa figura di Dan Burros (1937 – 1975), il neonazista ebreo suicidatosi dopo che la sua discendenza ebraica venne resa nota da un giornalista del New York Times.

La ripetuta affermazione di Daniel di “voler uccidere (almeno) un ebreo” che, dopo più fallimenti, si conclude con la uccisione di se stesso – più che con il suicidio con il voler essere l’unica vittima del suo attentato – non solo non convince ma mi pare che quella sorta di auto-contrappasso scivoli in una farsa, in un umorismo non voluto.

Il tema dell’ebreo che odia se stesso è un tema profondo e drammatico che può esser sviscerato da molteplici angolazioni, teologiche (il popolo eletto e nello stesso tempo il popolo dell’olocausto, del sacrificio), religiose (il popolo dell’unico libro e dalle innumerevoli declinazioni della ritualità religiosa), storiche (il popolo della terra promessa e della diaspora), culturali, politiche ecc. ecc. Trova radici in molteplici testi filosofici (es. Theodor Lessing) e letterari. Mi viene soprattutto in mente la figura di Jegor il figlio di Georg e nipote di David nel grande romanzo di Israel Singer (La famiglia Karnowski): anche in quel caso il giovane ebreo, emigrato con la famiglia dalla Germania, esalta il nazismo e si unisce ai giovani neonazisti sprofondando in una sorta di discesa negli inferi. Il suo odio, contro gli ebrei e contro il padre, ha radici precise nelle umiliazioni subite a scuola quando era ancora in Germania e nel ripudio della società statunitense disordinata e multietnica cui contrappone idealmente una Germania mitizzata, forte ed ordinata.

Una figura decisamente tragica quella di Jegor. Tragicità che non ho per niente percepito nel personaggio Danny, non drammatico ma inspiegato e sostanzialmente assurdo.

PS. Voto la (risicata) sufficienza per aver comunque voluto affrontare un tema difficile (specie negli USA) e per la bravura del protagonista.

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