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The Believer

Regia di Henry Bean vedi scheda film

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La recensione su The Believer

di Kurtisonic
6 stelle

Dio dice: Lo sai quanto sono potente? Ti posso fare qualunque cosa io voglia, non importa quanto sia stupida, posso perfino farti uccidere tuo figlio. Perché io sono tutto e tu sei niente. (The Believer, 2001).

Non è il coraggio che difetta al regista Henry Bean, prendere  un personaggio come quello interpretato da Ryan Gosling  in The Believer, un contraddittorio naziskin ebreo, richiede una capacità di equilibrio e di audace tenuta narrativa che oltrepassa il semplice tentativo provocatorio.  Dalle note biografiche del regista si apprende di un progetto coltivato per vent’anni, e che si è formalizzato in quest’opera prima che valutandone a posteriori effetti e conseguenze rispetto ad una carriera registica limitatissima, denota quanto l’argomento trattato premesse fortemente sull’autore fino a trasformare il suo film in una specie di manifesto identitario che gli appartiene in pieno.  Usare però la comparazione storica per arrivare a quella umana  dove fare emergere il sopravvenire del bene sul male,  può comportare rischi  davvero notevoli. Il protagonista, Danny, è dunque un naziskin americano ma nella sua intimità non rinuncia affatto alle sue origini fino ad essere un profondo conoscitore e studioso della tradizione ebraica e della Torah. Bean innesca un meccanismo di moltiplicazione di significati e di ruoli, in cui diventa non sempre agevole seguirlo fino in fondo con una certa credibilità. La comparazione fra popoli eletti, religiosità e dogmatismo, valori materiali e astrazione, a secondo di come si voglia strumentalmente o meno interpretare la storia, diventano argomenti scivolosissimi e talmente scomodi che l’impantanamento sarebbe assicurato. Atteniamoci invece all’analisi pseudo psicologica del protagonista, cercando di attribuirgli l’attestato di tema forte del film. Bean non si accontenta  della sua bipolarità esistenziale, che già conterrebbe una forte dose di dubbi e perplessità in merito, al discusso personaggio si affibbia un ulteriore sdoppiamento della figura che contempla da un lato il ricalcare la figura classica antieroica in stile new Hollywood, cioè esprimendo attraverso le sue azioni violente il desiderio di contenimento e di redenzione attraverso il quale poter azzerare il proprio codice interiore. Quando invece incarna la poco sostenibile figura dell’ebreo osservante, alimenta dubbi e critiche verso un sentimento religioso troppo radicato in quella comunità. Indicativo a questo proposito che le riflessioni di Danny avvengano sempre facendo affiorare episodi della sua ed altrui vita passata, come  se l’astrazione che razionalmente rifiuta fosse l’unica chiave per potersi accettare.  In cosa credere allora, sembra chiedersi Danny? Di quale insegnamento che in realtà già possiede dentro di sé  avrebbe bisogno l’uomo? The Believer tiene sostanzialmente la sua presa sul pubblico perché la sua mutabilità cattura più del pregiudizio, la sua azione costante scardina la presa di posizione più ferma, e alla prova dei fatti interessano di più le  vicissitudini  del suo personaggio principale che non quello che lo spinge ad agire. Il regista Bean cerca di aggirare l’epiteto morale, non isolandolo mai dal contesto vitale del suo personaggio, e  flashback scolastico a parte non sapremo null’altro di lui se non quello che esprime direttamente lo schermo.  Prevalgono sguardo e forma, e sarà proprio il gesto formale che fa assumere a Danny la sua responsabilità tragicamente umana. Quanto l’azione sarà svincolata dall’assunto religioso, dalle convinzioni, dal puro libero arbitrio è la domanda che rimane impressa fino ad oltre la fine del film. The Believer vuole forse segnare una traccia dolorosa e libera, attraverso teorie opposte. La forza della parola giusta o meno che sia, contro la volontà dell’uomo, ma anche qui quanto è condizionata la sua azione dall’indottrinamento? Danny stesso misura le sue capacità affabulatorie,  può parlare allo stesso modo ad un gruppo di fascisti moderati che ne apprezzano le doti comunicative, quanto agli ebrei osservanti  la cui fede è minata dal materialismo. Poi aggiungiamoci la ragazza stessa che lo attrae, estremista dubbiosa pure lei,   con gli altri naziskin alla ricerca di personalità da venerare. Una intera  comunità passiva che deve reggersi sull’atto del singolo,  sulla forza della sua solitudine. Roba dell’uomo,  o forse di dio, o solo del cinema?

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