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The Believer

Regia di Henry Bean vedi scheda film

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La recensione su The Believer

di degoffro
8 stelle

Dopo “American History X”, ecco un’altra storia di razzismo, odio, violenza e prevaricazione. Con una novità non indifferente però: il protagonista Danny, operaio in un magazzino (“Sposto casse” dice del suo lavoro), neonazista dalle idee chiare e nette, animato da radicali e profonde convinzioni, ha origini ebree. Una sorta di moderno Dottor Jeckyll e Mister Hyde, dunque, come è stato detto e scritto da più parti. Conosce molto bene la Torah tanto da poterne discutere animatamente e provocatoriamente, fin da bambino, con il suo insegnante, e forse proprio per questo sa con maggiore lucidità e determinazione quello che vuole e come ottenerlo. Le sue posizioni sono piuttosto distanti da quelle di Curtis Zampf, responsabile, con la compagna Lina Moebius, di un movimento fascista che vorrebbe costituire un ponte verso la politica ufficiale. Per Curtis infatti “L’anima di questo paese muore giorno per giorno e le sole cose che ci può offrire il governo attuale sono libero mercato, fondi comuni di investimento e opa. L’uomo medio è schiacciato non tanto dalla ricchezza ma dalla mancanza di una guida, dall’assenza di un senso di appartenenza culturale, da un senso di vuoto che da solo non riesce a colmare. Ecco perché sono fascista. E’ la sola forma di governo che risponde ai bisogni fondamentali.” Per Curtis la questione razziale non ha più importanza, è passata di moda, oltre che pericolosa. Per Danny invece “la vita spirituale viene dalla razza, dal sangue, senza questo non siamo migliori degli ebrei.” Sostiene infatti: “gli uomini odiano gli ebrei. Nel profondo, sotto tutto quel velo di tolleranza che imparano in televisione, non è cambiato niente. Soltanto la parola fa venire la pelle d’oca. E non è neanche odio: è quello che provi quando vedi un topo sul pavimento. Vuoi schiacciarlo con il piede, lo vuoi schiacciare e non sai il perché. E’ una reazione fisica. E’ uguale per tutti.” La sua proposta è uccidere gli ebrei, nonostante Curtis gli faccia presente che sarebbe un “errore catastrofico”. Danny però ritiene che la soluzione sia proprio “la Germania un’altra volta, ma con le cose fatte per bene. E quando la gente scoprirà che chi stanno ammazzando sono i vincenti, ricchi ebrei sarà molto felice e non dirà niente, niente nemmeno a se stessa. Ma basta che uno urli sono felice e dirà: E’ esattamente quello che penso io. E la nostra idea comincerà a diffondersi.” Le sue idee provocatorie, il suo atteggiamento spavaldo, determinato e sprezzante, da vero leader (“Noi siamo già emarginati ed è questo il nostro fascino!”), la sua acuta e vivida intelligenza e la sua non superficiale preparazione (“Se odi qualcosa lo devi studiare per capire perché lo odi” dice a uno dei suoi stupidi compagni di scorribande che non sa nemmeno chi sia Eichmann e cita tra le sue “conoscenze ebraiche” solo “I predatori dell’arca perduta”) gli procurano la protezione di Curtis (Billy Zane) e Lina (un piacevole ritorno della grande Theresa Russell, raramente utilizzata come avrebbe meritato e qui piuttosto invecchiata) e la curiosità di un giornalista del New York Times. A lui Danny espone con concitato entusiasmo la sua dirompente filosofia attraverso un curioso parallelismo con la sessualità ed il sesso orale, a suo modo di vedere essenziale per capire il modo di agire e di essere degli ebrei. Per Danny “il mondo moderno è una malattia ebraica: l’astrazione. Sono ossessionati dall’astrazione. Gli ebrei minano il modo di vita tradizionale, sradicando tutta la società. Il vero ebreo è un girovago, è un nomade, non ha radici, non ha nessun legame e perciò universalizza ogni cosa. Non sa piantare un chiodo né arare un campo, l’unica cosa che sa fare è comprare, vendere, investire capitali, manipolare i mercati. Cose tutte mentali. Lui prende la vita di un popolo radicato nella terra e la trasforma in questa cultura cosmopolita basata sui libri, i numeri, le idee: è questa la sua forza. Le più grandi menti ebree, Marx, Freud e Einstein che cosa ci hanno dato? Il comunismo, la sessualità infantile e la bomba atomica. Esattamente in tre secoli, il tempo che hanno impiegato per venire fuori dai ghetti d’Europa, ci hanno strappato da un mondo di ordine e ragione per scaraventarci in un caos fatto di lotta di classe, istinti irrazionali, relatività. Dentro un mondo in cui anche l’esistenza stessa della materia è messa in discussione. Perché l’impulso più profondo dell’anima ebraica è tirare il tessuto della vita finché non rimane altro che un filo. Non vogliono altro che il nulla, il nulla senza fine.” La doppia e contraddittoria natura di Danny però lo porta inevitabilmente all’estremo: è difficile, se non impossibile, negare o disconoscere le proprie origini. E Daniel Balint sente comunque ancora molto forte il suo essere ebreo. Durante la preparazione di un attentato ad una sinagoga ferma i suoi compagni quando, inconsapevoli e ignoranti, stanno distruggendo oggetti sacri e profanando la Torah e poi porta a casa la Torah stessa per ripararla e riprenderla a studiare. Legge e conosce molto bene la lingua ebraica. Invita la sua ragazza a vestirsi prima di leggere la Torah e le insegna con dedizione e passione la lingua. Ha comunque rispetto per i suoi ex compagni e amici di studio. Eppure non riesce a trattenersi dal pestare a sangue, con una violenza inaudita, un giovane ebreo, già da lui infastidito sul bus, nell’incandescente e potente incipit. Non rinuncia, con i suoi amici, dapprima, a picchiare due ragazzi di colore, poi a provocare i gestori di un bar perché non servono il pollo con il latte. Manifesta tutta la sua arroganza e supponenza ad un anziano sopravvissuto che racconta la brutale uccisione del suo figlioletto di 3 anni da parte di un nazista, sotto i suoi occhi, rinfacciandogli di non avere reagito: gli verrà replicato con franchezza: “in questo ricco, sicuro, stupido paese è così facile immaginare di poter essere un eroe!”. Tiene appassionati seminari per spiegare che tutte le ragioni per cui si odiano gli ebrei stanno nella parola stessa “ebreo”, perché “è un assioma della civiltà. L’uomo odia gli ebrei così come desidera la donna, ama i suoi figli e ha paura della morte.” Il giovane, magnetico, Ryan Gosling (qualcuno ha giustamente parlato di performance da “piombo rovente”), al suo primo vero ruolo da protagonista, rende assai bene le contraddizioni, le ambiguità e le inquietudini divoranti di Danny, ritagliandosi con sobrietà, misura ed intensità, senza eccessi o tic di maniera, un ruolo complesso, sofferto e molto duro, convincente e credibile. I suoi sguardi feroci e carichi di violenza, le sue crude(li) e viscerali riflessioni, il suo modo di agire furioso ma lucido si imprimono indelebilmente nella memoria. Peccato che il regista debuttante Henry Bean (prima di questo film ha scritto “Affari sporchi”, dopo “Basic instinct 2”), anche sceneggiatore con Mark Jacobson (da un suo articolo è stato tratto “American Gangster” di Ridley Scott) sia decisamente più abile con le parole che con le immagini e, per scandagliare a fondo e nelle più svariate componenti il personaggio principale, sacrifichi il resto della vicenda. Approssimativi appaiono infatti i caratteri di Billy Zane, Theresa Russell e Summer Phoenix, solo pochi, vaghi e confusi gli accenni alla famiglia di Danny. La messa in scena poi è abbastanza convenzionale, ripetitiva e piatta, alcune soluzioni lasciano perplessi e risultano fin troppo didascaliche, dimostrative e pleonastiche (penso al racconto dell’anziano che si è visto uccidere il figlio, rivissuto come un incubo ricorrente dal protagonista assumendo a seconda delle circostanze il ruolo del carnefice o della vittima), certi passaggi inessenziali (la vicenda relativa all’attentato al ricco direttore di banca ebreo Manzetti, interpretato dallo stesso regista), i flashback, pur interessanti nelle loro implicazioni religiose, incentrate sul sacrificio che Dio impose ad Abramo riguardo a suo figlio Isacco, con le contrastanti posizioni di Daniel bambino e del suo insegnante, appesantiscono inutilmente l’intreccio, anche se poi questo è l’evento cruciale da cui prende le mosse l’opposto agire di Daniel. “The believer” rimane comunque uno spaccato impressionante e piuttosto coraggioso della confusione e della rabbia che animano molti giovani, spesso solo alla ricerca di un semplice bersaglio su cui scaricare tutte le proprie repressioni, insicurezze, paure, tutti i propri impulsi più incontrollabili. L’odio di Daniel però, a differenza dei suoi impreparati e rozzi amici, nasce da una scelta ben più consapevole e meditata, motivata dal rifiuto di un Dio che ti costringe ad accettare passivamente ed immobile la sua volontà e ti obbliga a sopportare ogni sofferenza e male senza reagire, in una schiavitù esistenziale senza uscita e senza luce, segnata solo da una sofferenza lacerante e da soprusi continui (Daniel critica pesantemente la totale remissività degli ebrei nei campi di sterminio, anche se poi, documentandomi un po’, sono venuto a sapere che c’è un film di Claude Lanzmann, lo stesso dell’imprescindibile “Shoah”, intitolato “Sobibòr, 14 ottobre 1943 ore 16” incentrato proprio sull’unico tentativo riuscito di ribellione degli ebrei in un campo di concentramento). Considerato che si tratta di un film che trae ispirazione dalla vita di Dan Burros, ebreo americano iscrittosi al partito nazista americano prima e al Ku Klux Klan poi, suicidatosi quando un giornalista del New York Times rivelò le sue origini, la vicenda, premiata al Sundance Film Festival e al Noir in Festival di Courmayeur, 4 nomination agli Independent Spirit Awards, assume contorni ben più disturbanti. Il paradosso di cui è vittima Danny scuote perché denota il disagio ed il malessere di chi si trova obbligato a seguire la rigidità quasi ossessiva e castrante di certi insegnamenti o ideologie ai limiti del fanatismo, senza averne la reale convinzione e consapevolezza (esemplare la barzelletta sull’ebreo e le due sinagoghe raccontata al protagonista a sintetizzare la sua condizione). Per Danny così non ci sono differenze tra il comportamento degli israeliani verso i palestinesi (porta come esempio Sabra e Chatila) e quello dei nazisti nei confronti degli ebrei. La reazione a certe imposizioni non può che essere esplosiva e/o disperata (“Uccidi il tuo nemico” urla Daniel mentre esce irritato ma anche sconvolto dalla seduta con alcuni sopravvissuti dai lager). Ma neppure il gesto più estremo può dissolvere i tormenti, le sofferenze e le lacerazioni interiori di chi ha un’anima drammaticamente divisa in due, come rivela, in modo egregio, il notevole finale con quella vana corsa per le scale verso l’alto di Danny: “Danny fermati! Dove pensi di andare? Non lo sai? Non c’è niente lassù!”. Aperto dalla calzante citazione del più celebre epigramma di Catullo: “Odi et amo”. Classico ed utile film da dibattito.

Voto: 7

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