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Il grande attacco

Regia di Umberto Lenzi vedi scheda film

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La recensione su Il grande attacco

di giurista81
6 stelle

Terzo war movie di Umberto Lenzi, quello col cast artistico migliore. Il regista di Massa Marittima parte da una lunga serie di punti di vista e fronti di battaglia per convergere l'attenzione sulla campagna di Nord Africa che nel 1943 vide contrapposti il Generale Montgomery (Inghilterra) e il Generale Patton (Stati Uniti) contro il duo Rommel e Von Ardin. Lenzi affronta però la tematica non dal punto di vista dei vari strateghi (tutti sullo sfondo della vicenda e il solo Von Ardin interpretato da un attore), ma da quello di una serie di personaggi secondari, cercando di mostrare il loro lato umano così da scioccare maggiormente lo spettatore. In particolare apre la pellicola con una sequenza che riproporrà, nei contenuti, in Contro 4 Bandiere. Vediamo difatti, durante le Olimpiadi del '36 di Berlino, esponenti di diverse nazioni che si salutano brindando, al termine dei giochi, confidando di rincontrarsi quattro anni dopo e sperando nel pace tra popoli. Non avverrà questo, anzi si ritroveranno, a loro modo, schierati contro e incontreranno quasi tutti la morte col destino che giocherà i suoi assurdi tiri mancini facendo intrecciare le loro sorti. Da questo punto di vista è centrale la medaglia con l'aquila tedesca da una parte e la scritta Gott Mit Uns dall'altra che un maggiore tedesco farà dono a un generale americano e con la gemella che finirà, per vie traverse e dopo la morte del maggiore, in mano al figlio del generale americano che dirà: "Mio padre ne ha una uguale...

Sceneggiatura un po' frammentaria, non sempre facile da seguire. Lenzi gira all'americana, più che all'italiana, e dispone di un bel parco mezzi tra carrarmati, aerei e jeep. I conflitti risentono degli anni e sono un po' sbrigativi. I carri di distruggono facilmente, dimenticate la resistenza dei mezzi di Fury. A tal proposito c'è un corposo scontro in pieno deserto tra una dozzina di carri inglesi contro altrettanti tedeschi. Una sequenza che richiedeva un ingente sforzo economico in produzione. Non è però l'azione ad assumere ruolo cardinale, ma le caratterizzazioni dei personaggi, il loro lato umano. La vicenda storica diviene così secondaria, sebbene Lenzi scandisca l'evolversi dei fatti con nomi di località e date che appaiono in sovrimpressione. 

Piacciono molto le caratterizzazioni di alcuni personaggi, tra questi il maggiore tedesco interpretato da Stacy Keach che dimostra un'umanità aliena ai suoi superiori. E' sposato con un'attrice ebrea (interpretata dalla sofisticata Samatha Eggar) che farà una brutta fine per non aver accondisceso alle avances di un colonnello della Gestapo che le proporrà dei favori sessuali in cambio di una copertura. Bella la scena in cui Keach, ferito in un ospedale da campo, sogna della sua donna mentre Helmut Berger gli legge una lettera della moglie che gli parla degli alberi fioriti presenti in una data strada tedesca, salvo poi chiedere quali alberi vi siano in quella via, perché evidentemente priva. Berger è bravo a cambiare espressione nell'attimo in cui vede Keach rilassarsi e prendere la via del sogno, così da evadere dall'inferno bellico e immergersi in una realtà che mai più vivrà: quella dell'abbraccio della propria amata.

E' altresì bella la scena in cui Keach si trova costretto, per ordine superiore, a fucilare un partigiano greco che poi riconosce, una volta trucidato, quale "il più grande attore tragico della Grecia" che era andato a vedere a Berlino insieme alla propria compagna. Il regista gioca continuamente con questi rimandi con il lontano amore, a dare un taglio malinconico che rende umano quello che dallo spettatore viene percepito come il nemico. Lenzi trasmette, in queste scene apparentemente marginali, la follia della guerra e inquieta gli animi nobili. Anche Berger fa, a suo modo, tenerezza pur apparendo freddo e determinato nella sua volontà di fare il volere di Hitler (a differenza di Keach che è più etico). In Francia, prima di recarsi anche lui in Nord Africa, avvicina una prostituta francese (Edwige Fenech) e le chiede di fargli compagnia per una notte dicendole che, molto probabilmente, non la vedrà mai più. La Fenech accetta, poi tergiversa perché è il suo primo cliente di una carriera che si sta inventando. E' rimasta vedova e deve pagare l'affitto. Pensa così di fare la prostituta. Quando lo rivela a Berger, il tedesco fa per andarsene, ma lei lo frena e gli dice che sarà brava come le altre e che non lo deluderà. Lui allora, mentre lei si prepara, le lascia i soldi e decide di andarsene senza consumare. Non vuole approfittare dell'altrui stato di necessità, non vuole mercificare chi si propone in un dato modo non certo per scelta. Servirà a poco, perché la Fenech proseguirà, in Francia, a deliziare i tedeschi, mentre Berger, dall'inferno africano, le scriverà, fantasticando una vita che mai potranno avere assieme. Moriranno entrambi, la Fenech addirittura infangata ingiustamente nella memoria (accusata dai partigiani di scorrettezze e tradimenti che non le erano propri).

Ruolo importante poi per Giuliano Gemma che ha a casa due figlie piccole e una moglie da cui si è lasciato, ma che la lontananza e la trepidazione per le sorti dell'antico amore finiranno per riavvicinare. Il suo forse è uno dei ruoli, tra i centrali, meno sviluppati.

Bella invece la caratterizzazione del personaggio affidato a Henry Fonda. E' un generale americano che stravede per un figlio, mentre rimprovera l'altro che è uno scarso studente. Quest'ultimo, interpretato da Ray Lovelock, decide allora di arruolarsi. Fa di tutto per piacere al padre, che però, a differenza dell'altro figlio, non lo vede proprio come militare. Ebbene, il primo figlio muore in battaglia, mentre il secondo scala le gerarchie grazie al valoroso comportamente sul fronte Nord Africano. Belle le sequenze con Fonda, da genitore, in trepidazione per le sorti del figlio e per il suo mutato atteggiamento nei confronti dello stesso. La guerra trasforma gli uomini, che oggi ci sono e domani non più. L'epilogo, curiosamente, ricorda molto il finale de Salvate il Soldato Ryan con fonda in un cimitero militare americano davanti alla croce del figlio e una macchina che giunge per comunicare che l'altro è stato promosso di grado. Fonda regala un'espressione che dimostra che anche i militari hanno un'anima.

Film dunque senza veri protagonisti, corale, che usa i fatti legati alle battaglie del Nord Africa per parlare degli uomini e dei loro amori in un contesto in cui tutto vacilla, ma non il sogno di rivedere affiorare un sole dietro la coltre fumosa della distruzione.

 

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