Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film
L’abbiamo temuta, rimandata, scacciata col pensiero. Ma la rivalutazione di Enrico e Carlo Vanzina era inevitabile come l’appuntamento estremo. E forse la ritrovata indipendenza (dal fatale abbraccio della Filmauro Production) ha solo accelerato il processo. Perché davanti a “South Kensington” rimpiangiamo senza ironia “Vacanze di Natale” e “SPQR”. Di fronte ai dialoghi maldestramente “ispirati” di Rupert Everett non resta che ripiegare sul “E famme ’na pompa” di desichiana memoria. I Vanzina ambiscono a un cinema alto, meno becero, ma la loro estetica è ancorata agli anni ’80, a quella inespressività della messa in scena che sa tanto di televisione commerciale. Per tacere della storia, dei personaggi sotto forma di figurine stereotipate. Nonostante tutto, i Vanzina non riescono a rinunciare ai bauscia lombardi, ai ciociari trash (la comparsata clamorosamente fuori luogo di Lele Vannoli), alle bellone di plastica, ai ricchi & poveri modello “Piccolo grande amore”. Classico caso di “lupo che perde il pelo ma non il vizio”, questo nuovo corso dei Vanzina riconferma che il cinema popolare italiano ha bisogno di registi e sceneggiatori veri. Oltre che bravi.
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